L’Unione europea negli ultimi anni ha ridotto in modo importante le emissioni di gas serra. Il gruppo dei paesi del Vecchio Continente è riuscito a slegare il rapporto tra crescita del Pil e aumento dell’inquinamento. Sarebbe un risultato eccezionale se fosse accompagnato anche da una riduzione delle disuguaglianze all’interno dei Paesi. Questo non accade, anzi le distanze sociali sono aumentate.
Per quadrare il cerchio occorrerebbe avviare un nuovo modello di sviluppo capace di tenere presente le diverse dimensioni. Infatti la conversione ecologica del sistema economico dell’Unione potrebbe essere un’occasione non solo per rispettare l’ambiente e far crescere la ricchezza, ma anche per garantire una maggiore equità.
Si tratterebbe di mettere in pratica il modello di ecologia integrale suggerito da Papa Francesco nella Laudato Sii: « Quando parliamo di “ambiente” facciamo riferimento anche a una particolare relazione: quella tra la natura e la società che la abita. Questo ci impedisce di considerare la natura come qualcosa di separato da noi o come una mera cornice della nostra vita. Siamo inclusi in essa, siamo parte di essa e ne siamo compenetrati. Le ragioni per le quali un luogo viene inquinato richiedono un’analisi del funzionamento della società, della sua economia, del suo comportamento, dei suoi modi di comprendere la realtà. Data l’ampiezza dei cambiamenti, non è più possibile trovare una risposta specifica e indipendente per ogni singola parte del problema. È fondamentale cercare soluzioni integrali, che considerino le interazioni dei sistemi naturali tra loro e con i sistemi sociali. Non ci sono due crisi separate, una ambientale e un’altra sociale, bensì una sola e complessa crisi socio-ambientale. Le direttrici per la soluzione richiedono un approccio integrale per combattere la povertà, per restituire la dignità agli esclusi e nello stesso tempo per prendersi cura della natura» (n. 139).
Per costruire un sistema diverso innanzitutto andrebbe sostenuta l’economia circolare che sfrutta le materie di riciclo per ridurre lo sfruttamento delle materie prime (a questo proposito si rinvia al recente rapporto sull’economia circolare in Italia). Questo inciderebbe anche sulla diminuzione dell’impatto dei rifiuti prodotti nel Vecchio Continente. Un altro tassello per un’Europa sostenibile è l’investimento nelle fonti rinnovabili. Poi c’è la sfida nel settore agricolo, che invece di puntare sulle colture biologiche continua a utilizzare diserbanti, fertilizzanti e antibiotici che sono fonte di inquinamento. Infine c’è tutto l’ambito dei trasporti le automobili e i camion sono i principali produttori di gas serra e di CO2 in Europa.
Costruire un nuovo sistema, significa anche alimentare nuova occupazione: certo poi spetta alle politiche governare i cambiamenti e indirizzarli verso la crescita dell’uguaglianza.
Inoltre l’azione europea in direzione di uno sviluppo sostenibile avrebbe un significato ulteriore. Potrebbe dare un colore alle politiche dell’Ue nello scenario internazionale, che finiscono per essere sempre abbastanza neutre. Invece le questioni ecologiche per essere risolte hanno bisogno di alleanze globali che possano avere la forza di invertire la rotta intrapresa. Avviare un diverso modello avrebbe la forza di promuovere un nuovo ruolo all’interno del sistema mondiale che vede il Vecchio Continente sempre più al margine delle grandi strategie.