L’autunno in cui stiamo entrando rischia di essere tra i più cupi e difficili che abbiamo mai vissuto. Nonostante i lunghi inverni di pandemia che abbiamo alle spalle, forse mai come ora vediamo un orizzonte oscurato dalle ombre dell’aumento dei prezzi dell’energia e non soltanto, come da decenni non avveniva. E forse mai come ora sfioriamo con la mano il rischio dell’ingresso del nucleare nel ‘new normal’ delle guerre contemporanee.
E’ un tempo in cui dobbiamo veramente lavorare per riscoprirci fratelli e sorelle, tutti. Come ci dice Papa Francesco nell’Enciclica firmata il 3 ottobre di 2 anni fa. E sono tempi in cui è sempre più forte la tentazione di scoprire che tutti siamo fratelli, ma alcuni sono più fratelli degli altri (per parafrasare il famoso detto di George Orwell).
Da dove ripartire? Ce lo ha ricordato il card. Zuppi, presidente della CEI, quando ha posto con chiarezza la necessità di partire dai ‘più deboli e meno garantiti’ nell’affrontare le urgenze più impellenti : ‘le povertà in aumento costante e preoccupante, l’inverno demografico, la protezione degli anziani, i divari tra i territori, la transizione ecologica e la crisi energetica, la difesa dei posti di lavoro, soprattutto per i giovani, l’accoglienza, la tutela, la promozione e l’integrazione dei migranti, il superamento delle lungaggini burocratiche, le riforme dell’espressione democratica dello Stato e della legge elettorale’.
Ma sarebbe un errore pensare che tutto questo riguardi solo chi è chiamato a responsabilità politiche, e deve esercitarle nella direzione del bene comune. Siamo tutti noi che dobbiamo forse smetterla di delegare la responsabilità di una società più giusta e solidale; siamo noi a dover guardare il mondo in cui viviamo con lo sguardo di chi ne vuole avere cura, a dover costruire uno spazio di partecipazione alla vita sociale e politica, ben consapevoli del fatto che di rado vedremo con soddisfazione i risultati di un tale impegno, ma che forse riusciremo a porre delle basi, ad avviare dei processi. Siamo noi che dobbiamo riuscire a mostrare e a dimostrare che è possibile una convivenza accogliente e fraterna come molti decenni fa ci indicava don Tonino Bello: la ‘convivialità delle differenze’ in un mondo che sa accogliere e rispettare.
Il preoccupante aumento dell’astensionismo nelle recenti elezioni è figlio un po’ del rinculare di questa prospettiva: la stagione dei populismi ci illude della prospettiva salvifica del leader di turno, e ci rende cinici rispetto alla possibilità di costruire insieme e con pazienza il tessuto di mediazione sociale, di dialogo, di ascolto che è necessario per generare un vero cambiamento. Non è dunque solo responsabilità della politica, ma lo è anche di una società che non riesce a pensare un mondo diverso, che non sa costruire i percorsi di fiducia che portano all’impegno di ognuno e ognuna.
Il fossato delle disuguaglianze che attraversano la nostra società è al tempo stesso la causa e l’effetto di questa incapacità: il fossato che si approfondisce offusca la nostra capacità di guardare oltre. Ma il vedere come ineluttabile una società sempre più diseguale e frammentata è a sua volta causa dell’approfondirsi di questo fossato, e del considerarlo un po’ anche come lo scotto da pagare per superare questo momento buio. Questo genera ulteriori divisioni: la politica può ad esempio proporre un nuovo assetto fiscale che con ogni probabilità aumenterà ancora le disuguaglianze; ma è la società tutta che accetta che questo avvenga senza richiamare la politica alle sue responsabilità nei riguardi di chi pagherà il prezzo di questo; proprio perché ognuno misura ogni iniziativa nell’esito che si augura che questa potrebbe avere sulla propria condizione personale.
E’ possibile uscire da questo circolo vizioso? Non si tratta di pensarsi ‘onnipotenti’. Ce lo ricordava ancora di recente il Cardinale Zuppi: ‘Dio esiste, ma non sei tu. Rilassati…’. Non onnipotenti, ma responsabili; e capaci di vivere il nostro tempo in modo pieno e incarnato. Il cambiamento – come mi ha ricordato un sacerdote che ho incontrato pochi giorni fa – c’è quando cambia il nostro sguardo, quando diventiamo capaci di cogliere il segno della speranza nella storia. E a infondere questo segno di speranza nelle cose che facciamo.
Siamo fratelli e sorelle, davvero tutti, se riusciamo a coltivare questa speranza.