La Terra ha sete.

Siamo abituati ad usare questa espressione in estate quando le temperature più elevate e le poche precipitazioni si trasformano in immagini di terreni riarsi dal sole, di agricoltori in difficoltà, di ruscelli che una volta erano torrenti e di torrenti che una volta erano fiumi.

Sono invece scenari quanto mai attuali anche oggi, alla fine della stagione invernale, quando gli invasi dovrebbero essere pieni e le riserve idriche al massimo.

Invece temperature troppo oltre le medie stagionali e per un periodo di tempo prolungato, scarsissime precipitazioni nevose o piovose stanno riducendo i bacini idrici.

In Lombardia, a partire dall’Adda che presenta la situazione più complessa, le riserve idriche sono inferiori non solo rispetto alla media storica (-61%) ma anche rispetto al periodo siccitoso dello scorso anno (-11%).  Anche il Po è ai minimi storici mentre in Veneto l’Adige ha raggiunto livelli talmente bassi da permettere all’Adriatico di risalire dalla foce per diversi kilometri, salinizzando le acque interne.

Un quadro preoccupante che caratterizza tutta la penisola, al punto che negli ultimi 24 mesi il 38% delle aree agricole irrigue è stato interessato da condizioni di siccità, e che fa si che secondo dati CNR, una percentuale tra il 6% e il 15% degli italiani viva oggi in territori esposti a severa o estrema siccità.

Lo stress idrico che comincia a caratterizzare il nostro paese e più in generale l’area mediterranea, vero e proprio hotspot climatico, è la cartina d tornasole di una situazione ben più grave a livello globale, una condizione emergenziale che è ormai endemica per tanti paesi del Sud del mondo.

Nel 2015 ogni paese si impegnò a raggiungere 17 Obiettivi d Sviluppo Sostenibile entro il 2030.

Tra questi il numero 6 “Acqua pulita e servizi igienico-sanitari” puntava a garantire a tutti la disponibilità e la gestione sostenibile dell’acqua e delle strutture igienico-sanitarie.

Nel 2023, a metà strada tra 2015 e 2030, è tempo per i primi bilanci che restituiscono un quadro dalle tinte piuttosto scure.

Di “Acqua per tutti”, a meno di un radicale ed imminente cambio di rotta, non se ne parla. Gli ultimi dati mostrano infatti che i governi nazionali dovrebbero lavorare in media quattro volte più velocemente per raggiungere un obiettivo che appare sempre più proibitivo se pensiamo che, ancora oggi, oltre 2 miliardi di persone al mondo non hanno accesso ad acqua pulita e sicura.

I cambiamenti climatici amplificano la già delicata situazione per cui se nella prima decade del secolo 1,9 miliardi di persone vivevano in aree potenzialmente a rischio di grave carenza idrica, nel 2050, questo numero salirà a 3,2 miliardi di persone, anche in conseguenza dell’aumento della domanda globale di acqua che secondo le proiezioni aumenterà del 20-30% entro il 2050.

Troppo tardi per intervenire?

No, ma come accade per le grandi questioni globali, dal cambiamento climatico alla lotta alle disuguaglianze, più tempo passa più la sfida diventa complessa e più aumentano i rischi di non poter recuperare determinate situazioni.

Dal 22 al 24 marzo la comunità internazionale si riunirà a New York presso il Palazzo di vetro delle Nazioni Unite per la Seconda Conferenza Mondiale sull’Acqua, 45 anni dopo la prima tenutasi a Mar del Plata in Argentina.

L’incontro può e deve costituire un momento di svolta per la gestione globale della questione idrica: si parlerà di riconoscimento dell’acqua come diritto umano universale, di gestione e conservazione, di impatti sulla salute umana, sui diversi ecosistemi e sull’economia urbana e rurale.

L’obiettivo è quello di accelerare per recuperare il tempo perduto nella soluzione di una crisi che riguarda ognuno di noi. Anche per questo le Nazioni Unite hanno lanciato una campagna per invitare tutti (organizzazioni, imprese, scuole, singoli cittadini, a dare il proprio contributo cambiando le proprie abitudini di uso e consumo dell’acqua. Partecipa seguendo il link (link https://www.unwater.org/bethechange/)

Be the change you want to see n the world recita il claim della campagna il cui significato è ben riassunto da una favola africana che ha per protagonista un colibrì.

Un giorno nella foresta scoppiò un grande incendio. Di fronte all’avanzare delle fiamme, tutti gli animali scapparono terrorizzati mentre il fuoco distruggeva ogni cosa.

Mentre tutti i grandi animali discutevano su come fare, un piccolissimo colibrì si tuffò nelle acque del fiume e, dopo aver preso nel becco una goccia d’acqua, la lasciò cadere sopra la foresta. Il fuoco non se ne accorse neppure e proseguì la sua corsa, ma il colibrì continuò a tuffarsi per raccogliere ogni volta una piccola goccia.

Il leone lo chiamò e gli chiese cosa stesse facendo e alla risposta dell’uccellino cominciò con gli altri animali a prenderlo in giro: “Tu così piccolo pretendi di fermare le fiamme?”

L’uccellino guardò il Leone negli occhi e gli disse: “Io faccio la mia parte” e si gettò nuovamente nel fiume per raccogliere un’altra goccia d’acqua.

Come finisce la favola? Ispirati dall’esempio del colibrì tutti gli animali si impegnarono a fondo e alla fine riuscirono a spegnere l’incendio.

Se ognuno di noi può essere colibrì a fare la parte del leone, del rinoceronte o dell’elefante dovranno essere i governi di tutti i paesi del mondo che alla UN Water Conference saranno chiamati ad assumere impegni volontari per accelerare i progressi verso il raggiungimento dell’obiettivo di garantire acqua pulita per tutti.

Questi impegni andranno a costituire l’Agenda d’azione per l’acqua (link https://sdgs.un.org/partnerships/action-networks/water) che dovrà guidare l’azione  dei prossimi anni.  Un programma, si spera, ambizioso perché se è vero che ogni goccia conta è altrettanto vero che la situazione richiede anche l’uso di più di qualche idrante.

A governi la storia da responsabilità politica e morale di attivare questi idranti.

A chi legge quest’articolo invece il compito di fare la propria parte.

Goccia dopo goccia.

Foto di engin akyurt su Unsplash