Il recente rapporto Oxfam, pubblicato in prossimità del vertice mondiale di Davos, ha registrato un aumento della disuguaglianza a livello mondiale che raggiunge un ormai insostenibile in-equità nella distribuzione dei redditi e della ricchezza a livello mondiale. Il sistema economico (e finanziario) a livello mondiale si conferma come un dispositivo che favorisce inesorabilmente la concentrazione della ricchezza prodotta nelle mani di pochi: l’82% della ricchezza generata tra il 2016 e il 2017 è posseduto dall’1% dei percettori di reddito. Mentre il lavoro salariato incrementa il valore delle retribuzioni, ossia la remunerazione al fattore lavoro assegnata nella fase di distribuzione primaria del processo globale di formazione del reddito, del 2%, l’incremento della ricchezza finanziaria risulta almeno nove volte superiore.
I differenziali salariali in USA attestano una sproporzione enorme: un dipendente guadagna in un anno ciò che l’Amministratore delegato della sua compagnia percepisce… in un giorno.
Il processo di finanziarizzazione dell’economia che ha caratterizzato la globalizzazione guidata dal modello iperliberista (il turbo-capitalismo come è stato definito da sociologi ed economisti [1]) continua a provocare una crescita sproporzionate delle attività finanziarie rispetto a quelle reali, penalizzando soprattutto il lavoro salariato, soprattutto quello facilmente sostituibile e con bassa qualificazione. Si tratta indubbiamente sia di un combinato effetto tra la rivoluzione tecnologica digitale e lo spiazzamento provocato dall’introduzione di modelli tecnologici altamente automatizzati sia della debolezza dei sistemi di regolazioni degli stati nazionali ormai incagliati in quello che l’economista Dani Rodrik a definito il “trilemma”, ossia l’irrisolvibile conflitto tra sovranità-democrazia-mercato [2].
I ricercatori di Oxfam puntano il dito, ancora una volta, sulla contraddizione di un modello imprenditoriale unicamente finalizzato alla massimizzazione del profitto e sulla mancanza di un’adeguata remunerazione del lavoro: non si tratta soltanto di strategie aziendali che condizionano un modello di competitività a livello di mercato, ma anche di un modello sociale che ha richiesto progressivamente una riduzione dei livelli di protezione sociale posti in essere dai governi delle democrazie occidentali che, insieme a una privatizzazione di diversi settori delle attività economiche e ad una compressione dei diritti sociali, ha accresciuto le aree di precarietà di un’ampia fetta della popolazione attiva in molti paesi. La crescente mobilità interna e i flussi sempre più rilevanti di migranti economici dal Sud del mondo sono indubbiamente una espressione di tale processo, che ha inizio nel modello “estrattivo” [3] di utilizzo delle risorse naturali negli stessi Paesi.
La precarietà delle condizioni di accesso e di permanenza nel mercato del lavoro per ampie fasce della popolazione accresce il rischio di scivolare in una trappola di povertà che associa lavoro precario- basso reddito-mancanza di adeguati servizi pubblici: secondo le stime Eurostat tale condizione riguarda quasi il 12% della Forza lavoro dei paesi dell’Unione.
Occorre un tempestivo e coraggioso “cambiamento di paradigma”[4], che i ricercatori Oxfam auspicano proponendo una piattaforma di proposte che i governi dovrebbero adottare:
- incentivare modelli imprenditoriali che adottino politiche di maggiore equità retributiva e sostengano livelli salariali dignitosi;
- introdurre un tetto agli stipendi dei top-manager, così che il divario retributivo non superi il rapporto 20:1 ed eliminare il gap di genere;
- proteggere i diritti dei lavoratori, specialmente delle categorie più vulnerabili: lavoratori domestici, migranti e del settore informale, in particolare garantendo loro il diritto di associazione sindacale;
- assicurare che i ricchi e le grandi corporation paghino la giusta quota di tasse, attraverso una maggiore progressività fiscale e misure solide di contrasto all’evasione ed elusione fiscale;
- aumentare la spesa pubblica per servizi come sanità, istruzione e sicurezza sociale a favore delle fasce più vulnerabili della popolazione.
Proposte che ci auguriamo possano essere al centro del dibattito delle forze politiche e sociali europee che si preparano ad un importante appuntamento elettorale che richiederà un coraggioso cambio di passo, al fine di restituire una maggiore centralità alle politiche di coesione e di inclusione sociale che sono a fondamento di un’Europa più solidale.
[1] Altrimenti definito Terzo Capitalismo vedi Ewuard Lutwach, Turbo-Capitalism: Winners and Losers in the Global Economy (2000).
[2] Dani Rodrik, La globalizzazione intelligente (2015).
[3] Il riferimento è alla formulazione delle teorie di Daron Acemoglu – James Robinson, Perché le nazioni falliscono? Alle origini di potenza, prosperità, e povertà (2013).
[4] Mauro Magatti, Cambio di paradigma. Uscire dalla crisi pensando il futuro (2017).