Ogni giorno scopriamo nuove linee di frattura in uno scenario geopolitico globale quanto mai violento e lacerato. Conflitti spesso dimenticati, banalizzati, trattati superficialmente dai media “mainstream” e dall’opinione pubblica in generale.
Tra i binomi e le interconnessioni più rilevanti vi sono quelle tra violenza armata e povertà, che contribuisce a spiegare molte situazioni di conflittualità sia a livello internazionale, sia locale. In questa dinamica un aspetto sempre più significativo lo giocano sia le diseguaglianze in quanto tali, sia la loro percezione. In questo senso una campagna contro le diseguaglianze e per “chiudere la forbice” è quanto mai attuale non solo a livello generale, culturale, politico, economico, sociale, ma anche per costruire un futuro di pace nelle nostre comunità e in quella internazionale.
Oltre ad altri fattori non trascurabili, tra i quali menzioniamo i legami tra guerra e degrado ambientale, speculazioni finanziarie, cibo, in questi ultimi anni è cresciuto anche il rapporto causale con il crescente mercato delle armi.
Le armi incidono sempre più nelle dinamiche legate alla conflittualità a livello internazionale, ma anche in molte altre situazioni. Ci sono infatti diverse dimensioni in cui le armi producono un impatto sulla vita delle persone, nelle crisi umanitarie, e possono determinarne il corso:
- Innanzitutto ci sono le armi leggere, le grandi protagoniste delle uccisioni e dei ferimenti. Economiche, facili da usare, sono anche le armi usate per costringere, minacciare e spaventare, per permettere abusi ed espropri, e per armare i bambini arruolati nella guerra. Un mercato in costante crescita.
- Ci sono le armi pesanti, oggi utilizzate in modo sempre più indiscriminato per colpire la popolazione civile, in un clima di parziale o totale violazione delle norme umanitarie, soprattutto da parte degli Stati, magari sotto la sloganistica e le propaganda della lotta al terrorismo internazionale.
- Ci sono le armi proibite dalle convenzioni internazionali, che stanno vivendo una nuova primavera: bombe a grappolo, mine anti-persona, gas letali, ecc. Con la Comunità internazionale sempre più indifferente alla violazione di regole di civiltà costruite faticosamente nei decenni. E nella sostanziale miopia di quanto questo potrà comportare nel medio-lungo periodo non solo per le popolazioni civili locali, ma in una scala ben più ampia.
- Perfino l’uso di armi nucleari è rientrato tra le opzioni che alcune forze combattenti contemplano nei loro piani, anche se il tabù non è stato ancora apertamente violato. Anche in questo caso le minacce di rilancio e di ampliamento della ricerca, della produzione e della commercializzazione di tali armi prospetta spettri inquietanti nel futuro della geopolitica internazionale.
Le armi uccidono, feriscono, mutilano, distruggono beni indispensabili. Le bombe oggi attaccano ospedali, scuole, abitazioni, luoghi di lavoro, acquedotti, centrali elettriche, infrastrutture, non solo provocando la morte di migliaia di persone, ma anche privando i sopravvissuti della possibilità di continuare la loro vita, e costringendoli alla fuga. Infatti, le armi sono quelle che spingono milioni di persone a lasciare le loro case e tentare un esodo disperato. Armi spesso fornite dalle stesse potenze che poi minacciano di coinvolgere i propri eserciti per contenere l’esodo di profughi generati dalle conseguenze delle proprie decisioni e interessi.
Le stesse armi colpiscono i convogli umanitari, i soccorritori, il personale medico, le ambulanze. In uno sforzo immane per impedire che la gente venga soccorsa, nutrita e dissetata, spazzando via ogni forma di vita dal territorio.
Armi che sono nelle mani di organizzazioni criminali, gang o individui violenti, che impongono il terrore e abusano della popolazione, saccheggiandone le risorse, ferendo, stuprando e uccidendo. E impossessandosi di quanto reputano di maggior valore.
Sono circa 500.000 l’anno i morti per arma da fuoco nel mondo. Le morti causate dalle guerre si concentrano soprattutto in alcune aree del mondo: il Medio Oriente, il Nord Africa, l’Asia centrale e del sud.
Al contrario, la violenza omicida è diffusa nelle aree urbane medio-grandi dell’America Latina e dei Caraibi, e di parti dell’Africa centrale e meridionale, ma anche nel ricco occidente a partire dal Nord America.
Dunque, la criminalità ha un impatto molto superiore alle guerre, in termini di morti. Occorre ricordare che i conflitti provocano un quantitativo di feriti e mutilati molto maggiore, e lo sfollamento di decine di milioni di persone, che finiscono in altre aree del loro Paese e in altre Nazioni, come rifugiati, cercando protezione internazionale.
In ogni caso, la violenza interpersonale e quella politica sono sempre più interrelate, soprattutto dove le istituzioni sono deboli e le norme sociali sono divenute tolleranti nei confronti della violenza. Ovviamente la conseguenza è che per contrastarne gli effetti ultimi, occorre porre rimedio ad una sostanziale sregolatezza del mercato delle armi, all’ipocrisia delle grandi potenze che di fatto regolano il Consiglio di Sicurezza dell’ONU, le quali sono anche le più grandi promotrici e sostenitrici e i più forniti produttori e fornitori di armi in tutto il mondo, noncuranti degli effetti ultimi di queste politiche.
In occasione del 70° anniversario della dichiarazione universale dei diritti umani, celebrato lo scorso anno, questo è quanto le grandi potenze dovrebbero mettere tra le prime priorità per il futuro: una revisione delle loro politiche per il bene comune su scala globale, a partire dal contrasto del mercato delle armi.
Così si potrà invertire rotta e puntare a costruire davvero un futuro di pace. “Building future on peace” è proprio il titolo della “summer school” promossa dall’Azione Cattolica Italiana, dall’Istituto Giuseppe Toniolo, Missio, Focsiv e Caritas Italiana, nello scenario emblematico di Assisi (22 – 26 luglio 2019), che sull’onda di quella di due anni fa, continua la riflessione e la formazione sull’Europa e sul suo progetto di un futuro di pace. Un progetto da costruire insieme!