Le armi leggere sono un problema. Non solo di sicurezza, ma anche di salute pubblica a livello globale, sebbene quantificarne gli effetti (numero di vittime, feriti) sia molto difficile: esistono relativamente pochi studi e sono poche le aree di conflitto in cui si è fatto un lavoro di ricerca in questo senso. Ancor meno numerosi, gli studi che affrontano il problema nei paesi non apertamente in guerra. In alcuni paesi, le armi sono parte del costume locale e il loro possesso è permesso o tollerato dalle autorità.
Le armi – a partire da quelle leggere – non solo rendono facile uccidere e mutilare, ma distruggono anche le economie e i legami sociali, creano separazioni e grandi diseguaglianze. Di fatto minano le basi di ogni tipo di istituzione e di progresso collettivo. Queste sono le armi che rendono facile uccidere: le più portabili, le più accessibili, i più casuali strumenti di morte. Perfino un bambino, coi suoi deboli muscoli, può così distruggere una vita.
Le armi da fuoco sono state la causa del 46% delle morti violente nel mondo, nel periodo 2010–15. Sono state usate nel 50% degli omicidi e nel 32% delle morti in conflitto. Mentre pochissimo sappiamo della loro incidenza su esiti non letali, quali ferimenti, disabilità e traumi psichici.
La privazione dell’educazione e della salute, la criminalità, lo sfruttamento illecito delle risorse naturali, la decrescita del commercio e degli investimenti, la violenza contro donne e ragazze, la violenza delle bande e il collasso della legalità sono tutti consentiti e facilitati dal diffuso accesso alle armi. Secondo le Nazioni unite, le armi leggere sono stati uno dei fattori principali in oltre 250 conflitti, tra il 2005 e il 2015, portando alla morte una media di 50.000 persone circa l’anno. Il possesso legale di armi leggere registra una classifica che vede al primo posto gli USA con 112,6 armi per 100 residenti, con tutte le inevitabili conseguenze. Benché questa classifica includa paesi colpiti da conflitti armati, la situazione più critica è quella dei paesi che ricevono armi attraverso il traffico illegale o la produzione artigianale.
Il mercato nero di armi leggere avviene in tutti i paesi ma, ovviamente, si concentra nelle aree in cui i conflitti armati, la violenza e il crimine organizzato dominano il territorio. Tra i principali acquirenti, ci sono delinquenti comuni, terroristi, trafficanti di droga, milizie politiche e gruppi di cittadini organizzati in comunità di autodifesa. Ma il mondo è pieno di casi del genere, anche in aree non esposte alla pubblica attenzione. Sono le aree delle antiche tensioni etniche, delle rivalità tra nomadi e stanziali, delle aree di confine porose e non sorvegliate. Aree in cui morti e feriti non fanno statistica: in tutto il Sud Sudan, tra Kenya e Uganda, in ampie parti dell’Africa occidentale, nel Corno d’Africa, in Asia centrale, in gran parte dell’America latina.
Mentre le grandi spedizioni internazionali di armi, nella misura di parecchie tonnellate, sono rare, il mercato nero più ampio e florido avviene su scala regionale o locale, ed è fatto di innumerevoli ma piccoli quantitativi. Ad esempio, è provato come la principale fornitura di armi per la guerra tra Narcos e Stato messicano viene dall’acquisto legale nei negozi degli Stati Uniti con trasferimento illegale in Messico.
Circa il 75% delle armi leggere è in mano ai civili. Questo include guardie private, sportivi, cacciatori, collezionisti, commercianti al dettaglio, criminali e milioni di semplici cittadini che le detengono per (presunti) motivi di sicurezza. Una parte di questo enorme arsenale è fatto di armi illegali. Molte di queste vengono originariamente da arsenali governativi rubati, abbandonati in teatri di guerra o sottratti alla distruzione. Si stima che il quantitativo totale di queste armi corrisponda a tre volte quello nelle mani dei governi.
Peraltro, alcuni governi sono coinvolti nel traffico illegale, attraverso la loro azione a supporto di gruppi di insorti in vari conflitti civili. A partire dal noto caso dell’armamento e la formazione dei mujaheddin in Afghanistan contro l’Unione Sovietica, che contribuì alla nascita di Al Qaeda negli anni ’90, è noto che si tratta di un’attività che può creare dei problemi di prima grandezza fino ai giorni nostri.
Questo tipo di trasferimenti, che avvengono soprattutto in Africa e Medio Oriente, si svolgono solitamente in violazione delle sanzioni dichiarate dalle Nazioni Unite, e hanno un potenziale effetto destabilizzante anche sui paesi confinanti. Negli ultimi anni, diversi governi hanno segretamente consegnato decine di migliaia di armi leggere a gruppi armati in Somalia, a dispetto di un embargo pluridecennale dichiarato dall’ONU. I casi sono numerosissimi e contribuiscono a creare situazioni caratterizzate da profonde diseguaglianze (tra chi possiede le armi e chi no), presupposto per violenze, ricatti, sottrazione di risorse, minacce, ecc.
Durante il mese della pace in particolare documentiamoci e riflettiamo sulle dinamiche e sulle cause delle guerre, sul “peso delle armi” – a partire da quelle leggere – come fattore di diseguaglianze e di instabilità su scala locale e globale. E chiediamo alla Politica di fare la sua parte.