Si può fare politica senza scendere a patti con il Vangelo
Quando penso alla bontà, al servizio, all’impegno per la pace mi vengono in mente tanti volti. Uno di questi è quello di Benigno Zaccagnini. Quando l’ho incontrato per la prima volta ho pensato: vorrei essere buono come lui. Venne a trovare noi, piccolo gruppo di giovani, nella vecchia chiesa dell’Arcivescovado di Torino, la nostra sede di allora. Era stato appena eletto segretario nazionale della DC, il suo partito. Fu una festa di giovani, e ricordo che disse al suo segretario: «Fatemi fare queste cose… Questa è la mia gente…». Conoscerlo per noi significò “vedere di persona” la possibilità che un cristiano potesse fare politica senza scendere a patti con il Vangelo. La sua azione politica discendeva da lì, senza se e senza ma, era anzitutto un uomo di pace e la comunicava con il suo fare mite, con il suo aspetto dimesso, con il suo sguardo sorridente, sereno, con le sue convinzioni profonde… «Certo, è importante lottare contro gli armamenti, per il disarmo – ci scrisse – però la pace e la guerra nascono dal cuore dell’uomo. E qui siamo tutti coinvolti, nessuno può dirsi innocente di fronte a questo grande ideale della pace, perché ognuno di noi ha dentro di sé un po’ la propria guerra, e quindi deve cominciare dentro di sé a costruire il seme della pace propria e altrui: senza questa pace interiore dell’animo, del cuore di ciascuno di noi, non nasce nessuna pace».
La sua “guerra più grande” credo l’abbia vissuta nel 1978, durante il sequestro Moro. Due giorni prima che venisse ritrovato il corpo, l’incontrai nella sede della DC presidiata. Volevo dirgli quanto gli volevo bene. Lo trovai in una stanza semibuia, accasciato sul divano, il viso scavato ben diverso da come l’avevo sempre visto, quasi sconvolto, solo. Nella sofferenza di Benigno, quel giorno e quelli tragici che seguirono, vidi quanto può chiedere la pace ad un uomo che la vuole servire. Gli può chiedere qualcosa di umanamente impossibile, come accettare il sacrificio più grande senza smettere di affidarsi, senza smettere di vivere la propria terribile responsabilità con la coscienza lucida anche se piegata dal dolore. Coscienza che dopo anni gli fece affermare: «Ogni ideologia al suo fondo ha una grossa superbia dell’intelletto, la convinzione di possedere la verità, di conoscere tutta la verità, mentre la verità è una strada faticosa sulla quale si cammina insieme ad altri con una comune fatica». Nel luglio del 1989 mi fermai da lui durante un pellegrinaggio a piedi di 687 chilometri: camminando, con il pensiero gli dedicai la strada tra Forlì e Ravenna e arrivai a casa sua. Era il giorno del massacro di Tien-an-men e del rogo del carcere di Torino. Durante il pranzo, parlammo di quanto stava avvenendo e gli chiesi di accettare il premio “Artigiano della Pace”. Lui disse di sì, ma a patto che la cosa non diventasse pubblica. Preparammo la pergamena e non potendo fargli festa diversamente, pregammo insieme, come sempre. Benigno era così. Pochi mesi dopo, il 5 novembre, il Signore lo chiamò a sé. Nella stessa data, anni prima aveva chiamato anche Giorgio La Pira, accomunando nell’ultima ora due uomini che avevano in comune tanti valori e il modo di fare politica. «Sono sempre stato accusato di essere un ottimista – disse una volta – ma io penso, l’ho sempre detto, che senza ottimismo non si possa far politica. Un ottimismo che significhi speranza, fiducia nelle proprie idee, coerenza e coraggio». Ottimismo profetico condiviso da La Pira, che nel marzo del ’74 già ci scriveva: «Sì, al “disarmo di Isaia” non c’è alternativa: l’Ara Pacis, come fu al tempo di Augusto, costituisce oggi – e sempre più – il senso unico della storia: costituisce la Nuova Frontiera che Kennedy vide, che Kruscev vide, e che Giovanni XXIII indicò per primo nel 1958 all’intera famiglia dei popoli!». Benigno aveva ragione. Giorgio aveva ragione. Chi pensa e vive così fa della propria vita un inno alla pace.
I promotori della Campagna “Chiudiamo la forbice” augurano a tutti un nuovo anno di pace, buon 2020.
Leggi il Messaggio del Santo Padre per la LIII Giornata Mondiale della Pace