“Nei periodi di crisi, gli effetti delle disuguaglianze formali e sostanziali diventano ancor più evidenti”. Questa frase apre un appello lanciato recentemente da numerose associazioni della società civile che hanno chiesto al governo italiano di adottare misure urgenti per dare protezione dal Coronavirus ai richiedenti asilo e rifugiati che vivono in centri di accoglienza, così come ai senza tetto.
La crisi del Coronavirus ha infatti amplificato le disparità di trattamento e le discriminazioni esistenti nella nostra società e anche a livello internazionale. Evidenzia con forza i problemi di un sistema che continua a produrre “scarti umani” ed esclusione sociale. Se si prendono sul serio i diritti umani e il riconoscimento della dignità umana di tutte le persone, a partire dagli ultimi, l’accesso alla protezione e alla cura a prescindere dallo status sociale dovrebbe essere tutelato e garantito in modo universale. Ma non è così. Soprattutto in questi anni di globalizzazione deregolata con sovranismo nazionale.
Il rispetto della regola e slogan #iorestoacasa è sacrosanto, ma come facciamo con i senza tetto? E con tutte quelle persone che vivono in pessime condizioni abitative? Soprattutto nelle grandi città, nei ghetti dei nomadi, nelle bidonvilles, nei campi profughi. Si pensi che solo a Roma esistono 14 mila senza tetto, in questo momento lasciati ancor più sole, poiché molti servizi sociali pubblici e del volontariato sono sospesi o se attivi in grande difficoltà per il problema del virus. Nessuno era preparato a questa emergenza nonostante che scienziati ed organizzazioni sanitarie avessero già avvertito della possibilità di scoppio di pandemie a livello mondiale.
Un altro appello a cui la FOCSIV ha contributo, nel quadro del progetto Volti delle migrazioni riguarda i bambini e i richiedenti asilo nelle isole greche, che coinvolge anche le comunità residenti. Sono oltre 40 mila le persone con alto rischio di infezione. Si chiede di evacuare e ricollocare con urgenza queste persone in altri Stati membri dell’Unione europea, almeno i bambini. Ma pochi Stati hanno risposto. La solidarietà vale innanzitutto per i propri cittadini, e per quelli che sanno alzare la voce. Non per gli ultimi.
La crisi impatta sull’economia e quindi sui lavoratori. Il governo ha messo in atto misure per farvi fronte; anche in questo caso la protezione è minore per i precari e per tutte quelle persone che non hanno accesso al reddito di cittadinanza, che in questa situazione cadono in condizioni di povertà. Vi è chi ha avanzato la proposta di un reddito di quarantena universale. Il Forum sulle disuguaglianze ha disegnato una serie di misure che potrebbe adottare il governo per ampliare il sistema di protezione sociale utilizzando strumenti già esistenti, e quindi più velocemente applicabili. Potete sostenere questa proposta firmando l’appello nel sito: https://www.forumdisuguaglianzediversita.org/nessuno-resti-indietro-per-colpa-del-coronavirus/
Alcune misure scelte dal Governo indicano inoltre come, pur in una situazione di emergenza, alcune voci forti si facciano sentire più di altre per proteggere i propri interessi, purtroppo a danno della salute di tutti. Questo è il caso del comma h del DPCM 22 marzo 2020, secondo cui “sono consentite le attività dell’aerospazio e della difesa”. Ancora una volta, la lobby delle armi si erge “immune” dal coronavirus o meglio al di sopra dell’interesse generale alla salute. Prima vengono i contratti e le forniture di armi, dopo la salute dei lavoratori, delle loro famiglie e delle città. E questo segnala come il complesso militare-industriale, che tanto contribuisce a un paradigma tecno-economico che uccide, come ci ricorda sempre Papa Francesco, continui imperterrito a funzionare. Quando invece proprio il Coronavirus, come vedremo tra breve, è un frutto avvelenato di questo paradigma.
Tutte queste misure devono essere finanziate. Bisogna trovare i soldi. Si ricorre alla spesa dello Stato aumentando il deficit, oltre i limiti fissati dal patto di stabilità europeo. L’Unione ha tolto questi limiti, per ora. Il deficit si copre con titoli di debito. Titoli che possono essere acquistati dal mercato del capitale, dalle banche, grazie al bazooka della liquidità pompata dalla Banca Centrale Europea, 750 miliardi di euro nei prossimi mesi, così come la Federal Reserve sta facendo per l’economia statunitense senza limiti! Ma quanto di queste risorse andrà a sostegno dei più deboli?
Gli Stati si muovono per impegnare le risorse nell’emergenza: gli Stati Uniti di Trump con 2 mila miliardi di dollari, la Germania con 150 miliardi di euro, l’Italia con 25 miliardi poi aumentati a 50. Le Nazioni Unite mobilitano 2 miliardi per 40 paesi poveri. Noccioline. Ognuno agisce in modo diseguale secondo il suo potere fiscale e di indebitamento. Come al solito piove sul bagnato. Gli Stati già fortemente indebitati (come l’Italia, ma pensiamo in misura molto maggiore i paesi poveri del Sud, come ad esempio indicato dal presidente etiope in un recente articolo sul Financial Times: https://www.ft.com/content/c12a09c8-6db6-11ea-89df-41bea055720b) hanno più difficoltà a raccogliere denaro e comunque lo fanno a costi più alti (lo spread!). Mentre gli Stati più forti ottengono di più e pagano di meno.
In Europa si chiede allora di condividere, socializzare il debito, tra Stati, assieme, con l’emissione di Coronabond o eurobond. Ma alcuni paesi come l’Olanda e la Germania si oppongono perché da tempo (dalla crisi della Grecia) accusano gli Stati indebitati di non essere virtuosi, e impongono misure di austerità che implicano tagli allo stato sociale. Se da un lato occorre riconoscere che diversi Paesi indebitati lo sono a causa di corruzione ed evasione fiscale (che non è imputabile alle classi più povere ma soprattutto alle élite), dall’altro l’indebitamento è frutto di differenze di modelli, poteri economici e misure politiche che perpetuano le disuguaglianze tra paesi e classi sociali. Quando invece è necessaria una Europa più solidale al suo interno e verso i paesi terzi come si sostiene nel progetto Make Europe Sustainable for All (https://makeeuropesustainableforall.org/)
E’ prevalente la competizione, non la solidarietà, tra Stati, tra economie nazionali e quindi anche tra i diversi sistemi di welfare (si pensi all’offerta di Trump di acquisto dei brevetti sui nuovi vaccini contro il Coronavirus in esclusiva per gli Stati Uniti, ma anche alla concorrenza per reclutare medici e infermieri, mascherine e attrezzature). Con grandi attori multinazionali, che giocano su questa competizione a proprio favore, ottenendo sconti sul pagamento delle tasse per gli investimenti promessi agli Stati, e contemporaneamente eludendo i sistemi fiscali nazionale portando i profitti in qualche paradiso estero. Ora, qualche briciola la devolvono per aiutare nella crisi del Coronavirus, per filantropia, e ovviamente esentasse.
Tutto ciò mostra come esista un sistema di cose, un paradigma tecno-economico, che va cambiato per dare fiato alle economie e alle società più deboli con nuove regole del gioco a livello internazionale e nazionale. A questo proposito la campagna Giubileo degli Stati Uniti ha chiesto almeno una moratoria del pagamento del debito dei paesi più poveri, per consentire loro di far fronte all’emergenza Coronavirus, ma altri meccanismi dovrebbero essere riformati ascoltando la voce delle comunità più povere. Partendo dal basso e dai più vulnerabili, dando prevalenza al principio della solidarietà rispetto a quello della competizione.
Il rischio insomma è che, nonostante il Coronavirus imponga più cooperazione e migliori regole, tutto continui come prima o peggio di prima (come del resto è già avvenuto dopo la crisi finanziaria del 2008). Di fondo, è necessario trasformare un paradigma tecno-economico che amplia le disuguaglianze e produce le condizioni ambientali per nuove pandemie.
Infatti, si parla ancora troppo poco delle cause del Coronavirus. Cause che sono già ben a conoscenza della comunità scientifica e della società civile più attenta. Il WWF ha pubblicato un documento dove mostra come la distruzione degli eco-sistemi provochi la mutazione e la diffusione di virus. Anche il filosofo Cacciari, in un recente articolo su L’Espresso, scrive che “L’Organizzazione mondiale della sanità da molti anni ha lanciato l’allarme. Le modifiche radicali dell’ambiente, la deforestazione, gli allevamenti intensivi, l’uso massiccio di antibiotici per gli animali (con conseguente resistenza all’antibiotico nell’uomo), il commercio illegale di fauna viva così come di carni o parti di animale, costituiscono una serie di cause precisamente documentabili per l’emergenza di gravissime pandemie”.
Già FOCSIV e Caritas hanno evidenziato il problema dell’accaparramento delle terre che esclude i poveri, sfrutta le risorse, produce inquinamento e danni alla salute, e causa acque e terre morte (si leggano i rapporti Padroni della Terra nel sito FOCSIV). Viceversa, le nostre organizzazioni sostengono le comunità locali con modelli di produzione come l’agroecologia per uno sviluppo rurale realmente sostenibile.
Il Terzo Settore ha un ruolo importantissimo nell’emergenza Coronavirus (si vedano ad esempio le testimonianza di organismi nelle news FOCSIV), ma purtroppo poco riconosciuto politicamente (https://www.focsiv.it/news/zamagni-coronavirus-che-errore-aver-dimenticato-il-terzo-settore/). Un ruolo che, al di là dell’emergenza, è ancor più importante nell’indicare modelli alternativi a un vecchio modello “sviluppista” che crea disuguaglianze e pandemie.
Se è necessario andare oltre l’emergenza, se “non sarà più come prima”, davvero, la questione di fondo è trasformare il paradigma per uno sviluppo realmente sostenibile. Far sì che tutto non ricominci come prima. La mobilitazione dei finanziamenti deve andare per la transizione ecologica e sociale, per la solidarietà, per la cura della casa comune. Occorre darsi le giuste priorità, nuove regole e forgiare un ampio consenso per il cambiamento.