Alla luce del tema dell’ottobre missionario “Tessitori di Fraternità” e della recentissima enciclica di papa Francesco “Fratelli tutti”, ecco una testimonianza di come un missionario in Brasile vive questo tempo. Con un suggerimento per noi.
Stavo facendo colazione, oggi, in casa di Adriana, la mia vicina qui a Floresta, nel Pernambuco, e guardavo il telegiornale. Il vice presidente della Repubblica, il generale Mourão, presidente delConsiglio per l’Amazzonia ha dichiarato che bisogna legalizzare il garimpo nelle terre indigene. Garimpo è il nome che in Brasile si dá ai lavori di ricerca di oro. Si tratta di filtrare la terra e, usando il mercurio (altamente velenoso e inquinante), unire le piccole particelle di oro. Il tutto esige molta acqua per “lavare” la terra scavata o raccolta nei fiumi. Le conseguenze? Fiumi pieni di mercurio contaminano i pesci e chi li mangia. Grandi scavi nel cuore della terra, buche dalle quali, secondo la visione indigena, escono spiriti cattivi che contaminano e uccidono. Chiazze enormi di disboscamento il cui futuro solo sarà l’aridità del suolo.
Bolsonaro all’Onu
Il Presidente della Repubblica Bolsonaro il 22 settembre scorso ha raccontato alla 75° Assemblea Generale dell’ONU tutta una serie di non verità sulla ripresa economica (di un Brasile che non ha mai voluto un serio lock-down), sugli incendi in Amazzonia (nord del Brasile) e nel Pantanal (Brasile centrale), e sulle cause di questi incendi, dando la colpa ai popoli indigeni che vivono da secoli in queste aree. Il cosí chiamato agronegócio (agricoltura industrializzata e allevamento in grandi estensioni, i cui fini sono l’esportazione) è riuscito ancora una volta a fare il suo super raccolto. Nonostante il coronavirus, gli operai sono andati al lavoro, nei campi o nei macelli. Bene per i conti, ma non per i lavoratori, visto che una notizia passata (non so come) nei buchi del crivello ha rivelato che buona parte di loro ha preso ilCovid-19.
Gli incendi in Amazzonia: la coda di paglia del governo
Presidente, vice presidente e alcuni ministri di questo governo insistono nel minimizzare gli incendi in Amazzonia e nel Brasile centrale, come fossero piccoli fuochi che gli indigeni accendono per bruciare le paglie prima di piantare. Le ricerche e le foto dai satelliti parlano chiaro: si tratta di grandi estensioni di foreste in fiamme, i cui primi fuochi sono stati localizzati in fazendas e latifondi di allevamenti di bestiame, come è molto bene spiegato nell’articolo in portoghese “Fogo no Pantanal mato-grossense começou em fazendas de pecuaristas que fornecem para gigantes do agronegócio” (disponibile qui).
Partecipavo ad un incontro virtuale in cui un ricercatore presentava dati chiari dell’Istituto Centro de Vida (ICV): il 50% degli incendi sono in terre sfruttate dall’ agropecuária, ovvero dall’agricoltura industriale e dall’allevamento su territori immensi, il 18% sono in terre indigene (questo non significa che siano provocati dagli indigeni, al contrario, servono per avanzare con progetti agricoli, di allevamento, di costruzione di strade e di sfruttamento del sottosuolo per i minerali); il 6% in aree ambientalmente protette e di conservazione; il 5% in aree di assestamento, ovvero affidate a progetti per piccoli agricoltori. Spero che il fuoco cominci a bruciare anche la coda di paglia di questo governo, allo stesso modo con cui sta svelando segrete intenzioni: distruggere l’Amazzonia, sfruttare le sue risorse minerarie, specialmente l’uranio (vedasi il progetto della Marina Militare brasiliana di costruire sommergibili atomici) e altri minerali da tempo parte dei sogni lucrativi di imprese senza scrupoli (nazionali ed estere).
I popoli indigeni sono un impedimento a questi progetti di “sviluppo”, e il gioco che prima si faceva solo con pistole e fucili, oggi si fa anche e soprattutto con la penna (la trascrizione della proprietà delle terre amazzoniche e la formulazione di leggi), principalmente dopo la Costituzione del Brasile del 1988, gli accordi dell’Organizzazione Mondiale del Lavoro e la Dichiarazione Universale dei diritti dei Popoli Originari, che garantiscono i diritti dei popoli indigeni sulle loro terre. Per questo ci sono vari tentativi di colpevolizzare gli indigeni e di cambiare le leggi: sfruttamento minerario in aree indigene ora proibito, regolarizzazione delle terre amazzoniche invase (tra queste, la maggioranza sono state previamente disboscate o bruciate), la liberazione di veleni e agrotossici (proibiti in Europa), e altri.
Il problema della terra è antico, fin dalle origini della colonizzazione delle Americhe. L’ aristocrazia si è creata un apparato di sopravvivenza e auto–sostentabilità con la proprietà di grandi latifondi (estensioni pari alle nostre regioni in Italia), molte volte ridotti a sterili campi incolti, dopo aver tagliato gli alberi, e trasformati in pascoli giganteschi. Questo apparato ora si garantisce e sostiene con l’appoggio di legislatori e giudici, e non più solamente con le armi di uomini senza scrupoli.
E dopo il fuoco?
Cosa succederà dopo il fuoco? Già si presentano le prime realtà drammatiche: ceneri sparse in cielo e in terra; animali morti (nei fiumi e nei boschi bruciati); una catena ambientale in crisi; malattie respiratorie; terra incoltivabile a causa delle alte temperature; mancanza di acqua fin dalla sua fonte; mancanza di impollinatori naturali, per gli insetti, perció incertezza sulla produzione naturale futura (fiori, frutti e semi). Questo incide sulla salute, sulla sicurezza alimentare, sul ciclo naturale di pulizia dell’aria e dell’acqua. Dovrà, con il tempo, incidere anche sui venti e cosí anche sulle pioggie. Già i dati ci dicono che la foresta amazzonica non è più così umida come il presidente Bolsonaro dice (motivo per cui, secondo lui, l’Amazzonia non puó prender fuoco). Le temperature aumentano, come pure l’effetto serra. Se il ciclo naturale si sta rompendo, sarà ancora piú urgente l’intervento umano di restaurazione. La natura non ce la farà da sola.
Cosa possiamo fare?
Mentre il dollaro e l’euro incontrano buone quotazioni, i produttori brasiliani esportano a più non posso per aumentare i loro capitali. Soia, carne, riso, non sono prodotti per alimentare i brasiliani, ma royalties, occasione di speculazione. Il governo ha venduto tutte le riserve e il riso e i fagioli (alimento base del brasiliano comune) e ne hanno triplicato il prezzo sul merccato nazionale. Tutto è aumentato, nonostante l’alta produzione. Ancora una volta richiamo tutti voi sull’importanza di una azione internazionale di coscienza e di boicottaggio. Non permettete che le vacche mangino l’Amazzonia. Non comprate la carne di qui, né soia e derivati, né prodotti transgenici. Tutto questo è parte di una catena di morte.
Don Alberto Reani
Missionario fidei donum a Floresta (Brasile)