Si è tenuto martedì 12 gennaio scorso l’appuntamento mensile de “i martedì del mondo”, lo spazio di informazione e formazione mensile curato a Verona dal Centro Missionario Diocesano, dal Centro di Pastorale Immigrati, dalla fondazione Nigrizia dei Comboniani, dalle Comboniane, da Progettomondo-Mlal e dal Cestim. Si è parlato di vaccino anti covid e delle possibilità concrete di averlo nel sud del mondo. Condotta da don Giuseppe Mirandola, la trasmissione ha visto la partecipazione in studio di Giovanni Putoto, direttore emergenze sanitarie CUAMM, collegata via skype Nicoletta Dentico, esperta di strategie sanitarie nei paesi del sud del mondo. E poi i contributi video di Luca Li Bassi, già direttore generale di AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco), Silvia Mancini, esperta di salute pubblica di Medici senza Frontiere, Daniele Gobbo, direttore amministrativo ospedale don Calabria-Luanda Angola.
STIAMO ASSISTENDO AD UN SOVRANISMO VACCINALE
Silvia Mancini Medici senza Frontiere
D. Dott.ssa Mancini, finalmente sono arrivati i primi vaccini. E adesso?
In meno di un anno siamo arrivati alla definizione dei primi vaccini contro il Covid: Pfizer, Moderna, Astra Zeneca… Si è trattato di una corsa eccezionale senza precedenti che è stata possibile grazie all’enorme investimento pubblico dei diversi governi e allo sforzo scientifico e tecnologico. Ora questo sforzo chiaramente non è ad appannaggio di tutti se è vero che in queste ultime settimane sono iniziate le vaccinazioni in molti paesi occidentali -che danno sollievo ad un mondo particolarmente provato e che ha visto il decesso di quasi 2 milioni di persone- ma allo stesso tempo molti paesi a medio e basso reddito e con risorse limitate ad oggi non hanno questa possibilità.
D. Qual è la situazione sulla distribuzione dei vaccini?
Secondo alcune stime molti dei paesi a risorse limitate arriveranno ad avere la vaccinazione, la completa immunizzazione della loro popolazione solo alla fine del 2024. Stiamo parlano del paradosso per cui i paesi che rappresentano il 13% della popolazione mondiale (ovvero i paesi ricchi) si sono accaparrati con una forma di sovranismo vaccinale -definito anche predatorio nei confronti di diversi paesi e delle politiche nazionali- più del 50% delle forniture, con molteplici dosi ben superiori all’esigenza del loro fabbisogno interno. Il Canada si è accaparrato dosi di vaccino che basterebbero a vaccinare 6 volte la sua popolazione, gli Stati Uniti 5, così come UK, l’Unione Europea 3 volte. Ci troviamo di fronte ad una asimmetria enorme: a fronte di alcuni paesi che hanno accesso ad una fornitura privilegiata di vaccini ve ne sono altri a medio e basso reddito che possono contare solo ed esclusivamente su strumenti e meccanismi globali messi a punto dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) quali il Covax che ad oggi risultano non del tutto soddisfacenti.
D. Ci sono petizioni per chiedere il vaccino come bene comune, che anche voi di MSF appoggiate. Perché è importante?
Il vaccino “bene pubblico” contro il Covid diventa il nodo cruciale. I vaccini devono essere resi disponibili globalmente e simultaneamente nei diversi paesi a qualsiasi livello di reddito essi appartengono, ed è fondamentale innanzitutto questa equa distribuzione per una questione di giustizia ma anche per evitare fenomeni di reintroduzione del virus, ovvero per contenere la pandemia ed evitare ondate epidemiche successive. C’è bisogno di concretezza e una iniziativa in questo senso è la proposta di India e Sudafrica presentata il 2 ottobre scorso all’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO) per esercitare una forma di deroga sui brevetti e sugli altri diritti di proprietà intellettuale su farmaci, vaccini e strumenti diagnostici relativi al Covid per tutta la durata della pandemia. Questa sospensione della proprietà intellettuale consentirebbe una ampia condivisione scientifica delle ricerche sul virus, la possibilità di amplificare la produzione e di conseguenza la distribuzione per arrivare ad una simultanea distribuzione dei vaccini anche in paesi a medio basso reddito. Il supporto a questa policy è fondamentale ma lo è solo congiuntamente alla volontà specifica dei diversi paesi e delle diverse imprese farmaceutiche di condividere il know how e i dati sui trial clinici.
O CI VACCINIAMO TUTTI IN TUTTO IL MONDO O…
Luca Li bassi, già direttore generale Agenzia Italiana del Farmaco, consulente internazionale di strategie sanitarie
D. Dott. Li Bassi, cosa succede se non ci vacciniamo tutti in tutto il mondo e subito?
Una volta disponibile il vaccino non sarà possibile -e lo vediamo già in questi giorni- vaccinare tutti in breve tempo. Se avremo le nazioni più benestanti completamente vaccinate in un anno e le altre nazioni in due -tre o più anni, questo potrebbe comportare problemi per tutti per quanto riguarda il controllo della pandemia. Per capire questo vorrei fare un passo indietro e ragionare insieme su quelle che sono le caratteristiche del virus.
D. Prego…
Primo punto e prima considerazione. Il virus Sars-Cov2, all’origine di Covid 19, è un virus che ha le stesse caratteristiche di tutti gli altri e quindi lo possiamo definire in parole povere “macchina imperfetta”. Tutti i virus lo sono, ovvero sono incapaci -rispetto ad esempio ai batteri che invece hanno questa capacità- di replicarsi in maniera autonoma. I virus hanno bisogno di cellule biologiche per poterlo fare, non sono in grado di replicarsi. Questo è un limite importante e ci dice perché il distanziamento sociale, le mascherine, il lock down e altri interventi di sanità pubblica sono efficaci: impediscono al virus di entrare in contatto con le cellule umane e quindi di replicarsi. E se il virus non si può replicare, alla fine muore e sparisce. Questo per noi vuol dire: o stiamo in lockdown per sempre -cosa irrealistica- o dobbiamo trovare un sistema per agire con una strategia che tenga conto dei limiti del virus.
D. Seconda considerazione..
La seconda considerazione che riguarda il virus è che la macchina è talmente imperfetta che anche quando si replica non riesce quasi mai a continuare a replicarsi e a riprodursi in maniera fedele. Cosa vuol dire?, vuol dire che ogni volta che si replica sbaglia e continua sbagliare la sua replicazione. In altre parole, continua a mutare. Ovviamente queste mutazioni sono minime, la maggior parte delle volte non incidono sul decorso della pandemia e della malattia infettiva che causa. Però quando sommiamo milioni di mutazioni anche piccole può esserci una mutazione che potrebbe rendere il vaccino disponibile meno efficace. Ora, i vaccini che sono appena entrati in commercio sono altamente efficaci e probabilmente occorrerà molto tempo prima che perdano efficacia, però è vero che dobbiamo tenere presente queste possibilità perché così come abbiamo visto una variante di recente che sembra avere maggiore trasmissibilità, potrebbe anche darsi che un domani non troppo lontano si verifichi una mutazione che renda i vaccini cha abbiamo preparato meno efficaci di quello che sono adesso. Per fortuna ci troviamo davanti ad una tecnologia usata per questi vaccini -mi riferisco a quelli RNA messaggero- che ci consentirà di adattarci a queste mutazioni. Vorrebbe dire comunque rincorrere un qualcosa che è in evoluzione e quindi ci costringerà ad affrontare il problema in maniera più complicata portandoci via più tempo del necessario, con tutti i problemi sanitari ed economici che questo comporta.
D. Andiamo al secondo punto della sua analisi.
Il secondo punto riguarda quanto sia importante avere un approccio coeso tra diverse comunità sia che siano nazionali, locali o internazionali. Abbiamo bisogno di collaborazione e solidarietà per poter far in modo di combattere il virus con le migliori armi e nella maniera più efficiente possibile. Vorrei fare l’esempio di un incendio in uno stabile di vari piani: sarebbe impensabile se noi trattassimo questo incendio che riguarda tutto lo stabile in maniera diversificata tra un piano e l’altro. Se gestisco il quarto piano e sono anche bravo a farlo, il fatto che non venga controllato al terzo o al secondo non mi mette al sicuro. Questo ci fa capire come la pandemia che stiamo affrontando, dobbiamo affrontarla come se fosse un incendio e ci trovassimo tutti sulla stessa barca, nello stesso stabile in questo caso. E’ estremamente importante la cooperazione e la solidarietà tra tutti perché se lasciamo che la pandemia sia fuori controllo in alcune aree – che possono essere una regione nel nostro paese, uno stato europeo o un continente – a livello globale non saremo mai al sicuro perché se è fuori controllo torneremo al principio che discutevamo prima del virus: più è libero di replicarsi, più sbaglierà e più muterà. Questo ci potrebbe mettere di nuovo in una situazione critica, come abbiamo ricordato dell’esempio del quarto piano che brucia. Il fatto che l’incendio sia fuori controllo al terzo potrebbe causarci nuovi problemi nel breve e medio periodo anche noi al quarto piano e questo- ripeto- è fatto è importante da ricordare.
D. Terzo punto…
Il terzo punto da tenere presente è quello che riguarda l’avere dei piani operativi concreti e preparati con cura prima di mettere in pratica delle campagne vaccinali a livello locale, nazionale e globale. E’ un insegnamento che portiamo da quando abbiamo iniziato ad affrontare l’aids come pandemia globale: avere dei piani operativi pronti e specifici per ogni realtà e contesto è un elemento fondamentale. Mi sembra che ci sia ancora troppa attenzione semplicemente al fatto che un vaccino sia disponibile e che le dosi possano essere distribuite. Ma siamo solo all’inizio dell’opera…
D. Per concludere
L’importanza di una distribuzione equa uniforme a livello globale del vaccino è sottolineata da degli studi scientifici fatti di recente durante il 2020 per valutare l’approccio migliore nel controllo dell’epidemia. Abbiamo uno studio che ha modellato cosa succederebbe se la distribuzione del vaccino fosse fatta in maniera uniforme ed equa rispetto ad una situazione in cui, per esempio le nazioni ad altro reddito, vengono vaccinate prima e poi -mano a mano, negli anni successivi- le nazioni a basso redito o a risorse limitate. Questo tipo di modello ha portato ad evidenziare come ci sarebbero fino a due volte il numero di pazienti che si ammalano e di morti con una distribuzione non egualitaria rispetto ad una distribuzione omogenea. Questo è importante, perché se dobbiamo usare un mezzo efficace come il vaccino, dobbiamo usarlo al meglio e più velocemente possibile come ho ricordato all’inizio. Dobbiamo essere coscienti, quando prendiamo una strada, di quali saranno le conseguenze a cui andiamo incontro. Abbiamo questo studio che ci mette di fronte alla realtà e abbiamo studi economici che ci spiegano come un approccio non cooperativo e non egualitario porterebbe tutte le economie del mondo in sofferenza. Per sintetizzare: dobbiamo vaccinarci tutti, e come arriviamo alla vaccinazione e in quanto tempo è fondamentale. E poi è determinante avere piani di intervento pronti, essere coscienti che più il tempo passa più il virus muterà e potranno aumentare i rischi che anche le persone vaccinate due anni prima possano essere suscettibili a delle mutazioni che avvengono col tempo rendendo la vaccinazione in qualche modo inefficace o da ripetere con un vaccino modificato. Per ultimo, essere coscienti che più tempo impiegheremo a controllare l’epidemia, più malattie e morti ci saranno e più grave sarà l’impatto sulle economie globali.
SIAMO NELLO STESSO MARE, NON SULLA STESSA BARCA!
Nicoletta Dentico, esperta di strategie sanitarie nei paesi del sud del mondo.
D. dott.ssa Dentico, tutti uguali di fronte al Covid 19?, siamo tutti sulla stessa barca?
Siamo tutti nello stesso mare, ma non certo sulla stessa barca: c’è chi è su uno yacht e chi su una barchetta che naviga con difficoltà nel mare pieno di onde che è il Covid 19. E questa è una questione seria, l’OMS ha affermato che il mondo non raggiungerà l’immunità di gruppo entro il 2021. In altre parole, il mondo deve prepararsi ad una lunga attraversata nel deserto di questa pandemia, e il vaccino come soluzione in realtà può diventare un’arma a doppio taglio se l’accesso riguarda i paesi più ricchi a discapito dei paesi più poveri. La storia dei vaccini ci dice che o si vaccina tutti oppure il virus alligna, circola e si muove, la cinetica di questo virus in un anno ci ha insegnato che è furbo, feroce e pedagogo. Sarà molto importante che come tutte le precedenti pandemie del mondo si collabori per fare in modo che qualunque soluzione si metta in campo a partire dai vaccini, sia accessibile a tutti altrimenti non ne usciamo.
D. Questo vuol dire vaccino come bene pubblico?
La ricerca scientifica che si è avuta nell’ ultimo anno sul Covid 19 è un fatto assolutamente straordinario che segna una pagina unica nella storia della medicina e della ricerca scientifica. C’è stata una grande spinta all’innovazione, un impegno enorme da parte di finanziatori pubblici.
L’investimento pubblico dei vari paesi per il vaccino è stato di 93 miliardi di dollari in 11 mesi e questo ha permesso di accorciare il tempo dello sviluppo: dai classici 10 anni a qualcosa come 10 mesi per avere i primi 4 vaccini autorizzati (Moderna, Pfizer, Atra Zeneca, Sinovac) più quello dell’India di qualche giorno fa. E altri ancora sono in arrivo. L’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) cerca di fare da catalizzatore di questo sforzo internazionale e, nonostante un certo nazionalismo sanitario che ne rallenta l’azione, sta sviluppando il Covax e altre azioni di promozione (come il programma ACT) affinché la conoscenza scientifica sia disponibile a tutti. Però certamente un serio ostacolo alla libera conoscenza sono le regole sui brevetti.
D. Il vaccino ci porterà fuori dalla pandemia?
Il Covid mostra la fragilità dell’occidente che pensava di essere invincibile e la resilienza del sud del mondo, con la sua capacità, superiore alle aspettative, di saper convivere anche con questa pandemia. Siamo all’inizio della pandemia del Covid 19, non siamo alla fine, ricordiamocelo! Non dimentichiamoci che il vaccino della poliomelite è stato messo a punto negli anni ’50 e oggi ancora siamo combattendo contro questa malattia. Combattere una malattia ed eliminarla con il vaccino non è una azione che si fa in pochi anni. E il Covid 19 appartiene ad una famiglia di virus che può avere mutazioni importanti: vediamo la variante inglese, addirittura quella sudafricana pare essere ancore più pericolosa. Ci sono tanti elementi che stanno emergendo e che non abbiamo ancora potuto valutare a fondo. Questo per dire che la battaglia contro questo virus o la portiamo avanti tutti assieme e per tutti o si prolungherà la vita del contagio.
Gli sforzi globali fatti finora- parlo del programma Covax- risentono di un aspetto importante, ovvero che i protagonisti nel sud del mondo sono scarsamente coinvolti nelle sedi come GAVI e CEPI, i due sistemi di coalizioni sanitarie promosse da Bill Gates dove si fa ricerca biotech e dove si progettano i vaccini. Che rischiano di essere tarati sulle possibilità dei paesi ricchi. Pfizer ha prodotto un vaccino che ha bisogno di una catena del freddo a -70 gradi, che vuol dire escludere in blocco il sud del mondo. Pensare insieme vuol dire anche pensare a un vaccino che possa essere distribuito e stoccato in paesi che non hanno le strutture sanitarie e le infrastrutture del nord del mondo.
D. Come accelerare programmi di partecipazione scientifica come il Covax?
Come sostiene in questo format Silvia Mancini, iniziando con il sospendere i diritti di proprietà intellettuale sui vaccini e sui presidi legati alla pandemia. E’ una richiesta ufficiale di India e Sudafrica al WTO che sta raccogliendo un vasto appoggio. Si sono aggiunti Pakistan, Kenya, Mozambico, lo chiede l’Unicef, l’OMS stessa, lo chiedono molte organizzazioni che lavorano nella sanità, lo chiede papa Francesco. Il papa nella messa del Natale ha citato esplicitamente i brevetti che non possono essere un ostacolo ai produttori del sud del mondo per fare quello che i produttori del nord hanno sempre fatto per arrivare al grado di sviluppo a cui sono arrivati oggi: ovvero il reverse engineering, l’ingegneria inversa, decostruire e ricostruire spesso migliorandolo un prodotto. Il WTO lo impedisce, una deroga liberebbe spazio e accesso alla conoscenza scientifica in campo medico che oggi c’è e per lo più è gestita in maniera privata anche quando i finanziamenti sono pubblici. Nel caso di Covid, si sono investiti fondi pubblici per arrivare a vaccini che sono prodotti di case farmaceutiche private. Non ha senso! La lezione del Covid, a 75 anni di fondazione dell’ONU, è che le regole del gioco della globalizzazione sono un ostacolo, le regole stesse della globalizzazione rallentano la possibilità di accesso alle cure per persone e società che ne hanno bisogno. Deve diventare una questione politica, la società civile spinge su questo, le parole del Papa sui brevetti hanno colto nel segno.
D. Cosa ci fa apprendere questa pandemia?
La prima cosa che il virus Sars-Cov2 è un sintomo eclatante di un mondo profondamente malato. Ha scritto Richard Horton su The Lancet nel settembre scorso che non dovremmo parlare di pandemia ma di sindemia, malattia di sistema. Il sistema di governo del mondo è malato e con il Covid i nodi sono arrivati al pettine. In America Latina con il Covid 123 milioni di bambini non andando a scuola, e quindi non ricevendo l’unico pasto al giorno che ricevevano, sono sprofondati in una grave insufficienza alimentare. Solo questo ci dice che il nostro mondo così non può funzionare. Dobbiamo uscire dai nostri cliché: salute non vuol dire parlare di malattie ma di prevenzione, di giustizia sociale per avere una vita sana. E’ decisivo a questo punto risolvere il capitolo sul debito. Il grande insegnamento è questo: si deve tornare ad investire nel sociale, altrimenti le società muoiono. 20 anni di tagli alle spese sanitare in Italia hanno prodotto quello che stiamo vedendo nella gestione del virus. Bisogna tornare ad investire nelle persone, puntare sulle comunità. Salute e istruzione sono i due capisaldi per il progresso. La cosa peggiore del Covid è se non riusciremo di cogliere questa opportunità, allora sarà un crimine della storia.
DOVE TROVEREMO I VACCINATORI IN AFRICA?
Giovanni Putoto, direttore emergenze sanitarie CUAMM
D. Dott. Putoto: l’Africa si ammala di meno di Covid?
I dati dicono questo ma vanno interpretati con grande cautela: parlano di 3 milioni di infettati in Africa, 73 mila morti, ovvero solo 3% dei casi notificati nel mondo e delle morti. Impatto limitato? Direi di no, soprattutto perché questi dati sono una narrazione parziale. Il 50% circa delle rilevazioni vengono da un paese, il Sudafrica, che si avvicina ad uno standard occidentale: in occidente facciamo 400 test per 1000 abitanti, in Centrafrica fanno 3 test per 1000 abitanti. Se poi si aggiunge il sistema di notifica dei casi di malattia e di morte che in Sudafrica è rigoroso ma nel resto dell’Africa decisamente meno, si capisce perché le statistiche dicono che l’Africa si ammali di meno. Molti casi di malattie legate al Covid non sono rilevate come tali e muoiono nell’oblio. Certamente punti a favore sono la giovane età del continente (19 anni la vita media), popolazioni in parte isolate che vivono all’aperto, e le alte temperature. Tuttavia si parla poco degli effetti sanitari indiretti che il Covid sta creando: le mamme per paura non vanno più a partorire nei centri sanitari, non portano i bambini alle vaccinazioni, c’è una drastica riduzione dell’approvvigionamento dei farmaci, c’è il crollo di utilizzazione dei servizi sanitari per patologie anche semplici. E questo ha già portato nell’Africa sub sahariana ad un aumento del 30% della mortalità per patologie conosciute e curabilissime. Questa è una vera tragedia.
D. Quali altre ripercussioni?
Oltre a considerazioni sanitarie, ci sono considerazioni sociali ed economiche. I paesi ricchi del mondo hanno rafforzato le reti di protezione sociale mettendo in campo 11 trilioni di dollari, che vuol dire cassa integrazione, bonus, aiuti vari al consumo, blocco dei licenziamenti, degli sfratti. Tutte cose che conosciamo. E in Africa? Non a caso papa Francesco ad aprile ha rivolto un appello per la riduzione o l’annullamento del debito: solo il pagamento degli interessi è diventato un peso insostenibile. Da considerare poi il crollo delle rimesse degli africani che vivono in altri continenti alle loro famiglie in Africa, che è tre volte superiore agli aiuti allo sviluppo. In Etiopia, paese con 110 milioni di abitanti, l’unica misura di welfare attivata dal governo ad Addis Abeba, capitale con 7 milioni di abitanti, sono 10 panifici che sfornano pane per la popolazione. Ecco cosa può permettersi l’Africa. L’impatto a lungo termine sarà devastante e avrà il volto della povertà. 250 milioni di poveri, con la povertà estrema che passerà da 120 a 150 milioni: si stanno vanificando 30 anni di lavoro e di risultati sanitari.
D. Arriva il vaccino. Bella notizia, immagino…
Bella notizia, ma per vaccinare ci vuole un sistema sanitario che funziona! I vaccinatori dovranno essere delle persone formate, e da dove saltano fuori se in Sud Sudan c’è un’ostetrica ogni 20 mila parti… Bisogna quindi prendere dei volontari e formarli. E poi i mezzi di trasporto, lo stoccaggio, la mappatura dei vaccinati.. Per non parlare in Africa della cronica mancanza di siringhe e di altri presidi. Insomma, vaccinare in Africa, di suo, è un’impresa colossale, tanto che muoiono 600 mila bambini ogni anno per patologie che sarebbero prevenibili con la vaccinazione. Avere il vaccino a disposizione è solo il punto di partenza.
IL COVID HA FERMATO LA CURA DELLE ALTRE MALATTIE
Daniele Gobbo, direttore amministrativo ospedale don Calabria-Luanda Angola
Qui in Angola non c’è stato il disastro come in altre parti del mondo, fin da marzo c’è stato il lockdown con misure restrittive. Una delle possibili ragioni per le quali il virus qui non è esploso è che l’eta media è di 20 anni, le persone vivono all’aperto e 9 mesi all’anno abbiamo temperature molto elevate. L’Angola fa parte del gruppo Covax e il ministro della salute ha affermato che il vaccino arriverà a febbraio. Ma il problema in Africa sono le risorse limitate: anche i presidi sanitari per il Covid sono limitati e hanno costi enormi. E poi il problema è la sospensione dei farmaci per la cura delle altre malattie quali la tubercolosi, l’HIV, la malaria… L’India, che è la farmacia del mondo, si è fermata nell’invio dei farmaci per queste malattie, non si riesce ad avere medicinali, il mondo è concentrato sul Covid e ci si è dimenticati delle altre malattie! In un contesto come l’Africa dove la salute è precaria, questo ha effetti devastanti. Noi abbiamo in cura 3500 malati di tubercolosi, 3200 malati di aids, in un anno ricoveriamo 500 bambini gravemente malnutriti: numeri e scenari impensabili in Europa. Come dicevo, ci siamo dimenticati della malaria, che in Angola fa molti più morti del Covid. Prima del Covid avevamo 20 casi al giorno di malaria. Adesso quanti sono? Non lo sappiamo, ma non perché non ci sono più, ma perché non si accompagna più la malattia. L’OMS ha già lanciato l’allarme: non si può continuare così, i programmi devono esser seguiti soprattutto per quanto riguarda la somministrazione dei farmaci. Se si sospende il farmaco, si deve ricominciare da zero.
UN ANNO DI COVID. I dati, il numero dei morti
Raffaello Zordan, Nigrizia
Della pandemia di Convi-19 e dell’emergenza sanitaria con cui dobbiamo fare i conti oggi abbiamo cominciato a sentirne parlare il 31 dicembre del 2019. Quel giorno infatti le agenzia internazionali, Reuters, Associated Press e Agence France Presse, scrivono di una «polmonite virale sconosciuta a Wuhan in Cina». Le persone colpite sono 27 e 7 sono in condizioni critiche, secondo le autorità sanitarie locali. Quello stesso giorno, il 31 dicembre, la Cina avverte l’Organizzazione mondiale della sanità che il 5 gennaio pubblica una nota ufficiale in cui dice che «i sintomi clinici delle persone ricoverate sono principalmente febbre, con alcuni pazienti che hanno difficoltà a respirare e radiografie del torace che mostrano lesioni evidenti di entrambi i polmoni». L’Oms, sulla base di queste informazioni, sconsiglia l’applicazione di qualsiasi restrizione ai viaggi o al commercio con la Cina.
- L’11 gennaio 2020 un 61enne cinese è la prima vittima accertata. I test preliminari indicano un «nuovo tipo di coronavirus».
- Il 13 gennaio una donna cinese viene messa in quarantena in Thailandia e diventa il primo caso positivo fuori dal paese.
- Il 22 gennaio il direttore generale dell’Oms Tedros Ghebreyesus sostiene che «il nuovo coronavirus non rappresenta ancora un’emergenza internazionale».
- Il 23 gennaio la Cina decide il lockdown per milioni di persone che vivono a Wuhan e nella provincia di Hubei.
- Il 24 gennaio si registra il primo caso in Europa (Francia).
- Il 21 febbraio anche l’Italia ha il suo paziente uno positivo e senza aver messo piede in Cina.
- Il 22 febbraio il governo Conte decreta la «zona rossa» per dieci comuni del Lodigiano e Vo’ Euganeo (Padova).
- Il 27 febbraio 2020 è la Nigeria il primo paese africano a registrare un caso di Civid-19.
Al 12 gennaio 2021, nel mondo i casi totali sono più di 88 milioni; le guarigioni 49 milioni; i decessi 1 milione e 900 mila.
In Africa i casi sono 2.878.000 e i morti 68.700.
Nel frattempo la ricerca e la sperimentazione per arrivare a un vaccino hanno bruciato le tappe e in meno di un anno dall’inizio della pandemia sono stati approvati o in fase di approvazione ben 8 vaccini.