Testimonianze in ricordo di Agitu Gudeta, allevatrice di capre, uccisa il 29 dicembre scorso a Frassilongo in Valle di Mocheni (Trento)
Il 29 dicembre scorso Adams Suleiman, 32 ghanese, ha fermato la vita di Agitu Gudeta, ma non certo i suoi sogni. Agitu, 42 anni, etiope di famiglia benestante, era arrivata in Italia all’età di 18 anni per motivi di studio, laureandosi a Trento in sociologiaqualche anno più tardi. Rientrata ad Addis Abeba, si era scontrata con il governo per il land grabbing, ovvero la terra tolta ai contadini e data alle mutinazionali. Uno scontro che la vedeva coinvolta in prima persona per l’assegnazione di alcune terre nelle quali voleva portare avanti la tradizione di un ramo della sua famiglia, ovvero l’allevamento delle capre. Lo scontro la costrinse a lasciare il paese: tornò in Italia nel 2010 e volle stabilirsi a Trento, coltivando il sogno di allevatrice ma nel frattempo sbarcando il lunario facendo la cameriera. Seguì i corsi per allevatori della Regione e comprò le prime 8 capre. Si stabilì con i suoi animali prima in Valsarsina e poi, dalla fine del 2015, in Valle dei Mocheni, una laterale della Valsugana che si imbocca da Pergine, vicinissima a Trento ma lontana da tutto. Persino la lingua è diversa: si parla orgogliosamente il mocheno, un dialetto tedesco tutelato come la cultura e le tradizioni dei suoi abitanti. La caratteristica di Agitu, raccontano gli amici, era la relazione. A Frassilongo incontra subito il parroco don Daniele Laghi, da lui affitta la canonica dismessa, che avrebbe riscattato. A fianco della canonica apre lo spaccio per la sua attività denominata “La capra felice”, dove vendeva latte, formaggi, creme. Sopra Frassilongo aveva trovato una stalla per le sue capre, nel frattempo aumentate, e un pascolo per l’alpeggio.
«Vita dura quella del pastore», racconta Sandro Giovannini, suo amico. «Il pastore si alza alle 5 per mungere, poi porta le capre al pascolo e alle 17 le munge di nuovo. Finita la mungitura, porta il latte al caseificio oppure si dedica alla produzione deiformaggi, come faceva Agitu». Che, continua Giovannini, «dormiva 5 ore al giorno ma era felice perché stava realizzando il suo sogno». Non tutto filava liscio nella vita lavorativa di Agitu: anche lei -come molti altri piccoli allevatori trentini- aveva subito la crisi di questo difficilissimo periodo nel quale, causa pandemia, la diffusione dei suoi prodotti si era rallentatanonostante il punto vendita aperto a Trento, nonostante il mercato settimanale del giovedì al quale non mancava mai. Ed è proprio una mensilità non pagata a scatenare- ma sarà il processo a stabilirlo– la follia omicida di Adams, da tempo suo collaboratore, padre di due figli in Ghana, detenuto nel carcere a Gardolo in preda alla disperazione per il tragico gesto commesso. A portare avanti la cura delle capre di Agitu il sindaco di Frassilongo Luca Puecher ha chiamato Beatrice Zott, una giovanissima del luogo, innamorata dell’allevamento e amica di “Aghi”, come la chiamavano chi la conosceva. Beatrice ha preso in mano la stalla con «entusiasmo e determinazione», dice, «almeno per questi primi mesi dopo l’omicidio, per capire come procedere». Adesso, continua, «la situazione è tranquilla. Ma dopo i parti e con l’aprirsi della stagione chi porterà le capre di Agitu al pascolo?»
L’allevamento era solo una parte della vita di Agitu. «Recentemente aveva comprato l’ex scuola materna di Frassilongo per farne un agriturismo, e i lavori erano appena iniziati», commenta il parroco don Daniele. Che aggiunge: «Era una presenza attiva anche nella comunità: ricordo il giorno di Natale del 2019 quando lei e alcuni amici etiopi che ospitava in quei giorni vennero tutti alla messa celebrata dal vescovo di Trento mons. Lauro Tisi». E aggiunge: «è stata l’emblema di una capacità tutta femminile di imprenditorialità in questa terra, radicandosi in un posto che non era suo ma lo stava diventando. Questo è l’insegnamento che ci lascia, quello di ripartire, di non cedere alla paura ma di avere coraggio e fiducia».
«Curava molto l’aspetto interculturale», dice Linda Tonolli. «Ho avuto modo di conoscerla bene in occasione della presentazione di un libro che mia zia ha scritto ricordando la nostra famiglia Tonolli, originaria della valle dei Mocheni, emigrata in Cile». E questa era un’altra attività di Agitu: le serate che organizzava a casa sua per amici ma aperte a tutti raccontando le migrazioni, quelle che sono partite dal Trentino, dalla Valle dei Mocheni con destinazione Cile, Brasile, Germania, e quelle che recentemente sono arrivate in Trentino. Dice don Cristiano Bettega, direttore del Centro Missionario Diocesano di Trento: «papa Francesco parla di ecologia integrale, che non si tratta solo di come facciamo la raccolta differenziata o se un albero può essere abbattuto o meno. Ecologia integrale vuol dire fare in modo che il mio vivere in una società sia un vivere creaturale. Agitu ha cercato questo». Il vescovo di Trento, mons. Lauro Tisi, ricordando l’allevatrice etiope dice: «Ha veramente saputo mettersi in gioco in una maniera creativa con l’allevamento e questo per noi è stata una provocazione molto forte, che ci permette di dire ancora una volta con forza che i migranti sono una risorsa e non un problema. Nell’attività di Agitu c’era molto sogno, molto futuro, molta immaginazione. Nel metterle a disposizione la canonica di Frassilongo abbiamo potuto conoscere bene la sua determinazione: sapeva trasfondere energia positiva e una grande serenità.» Ricorda Zebenay Jabe Daka,dell’ associazione amici dell’Etiopia: «Nella sua vita Agitu ha intrecciato vita con tutti: con la comunità etiope, con i trentini diTrento e della valle dei Mocheni… Agitu viveva in una valle isolata ma era una ragazza internazionale, una cittadina del mondo. Una martire, un’ amica che abbiamo perso senza motivo».
La storia di Agitu verrà raccontata prossimamente dalla Fondazione Missio in uno dei video della Giornata dei Missionari Martiri, disponibili su www.missioitalia.it dal 28 febbraio.