C’è una valle in Albania, lungo la quale scorre il Vjosa, ritenuto l’ultimo fiume d’Europa totalmente naturale e libero da infrastrutture umane. Negli ultimi anni però il governo albanese ha pianificato la costruzione di centinaia di mini centrali idroelettriche su tutto il territorio nazionale. Quella che di solito è ritenuta una soluzione pulita per generare energia da una fonte rinnovabile, per questa particolare vallata significherebbe la fine di un ambiente naturale. Gli esperti interpellati dalle associazioni ambientaliste, e da quanti si oppongono al progetto, hanno quantificato in 177 le specie viventi che sarebbero messe a rischio se il Vjosa fosse interrotto da dighe e sbarramenti. Inoltre la trasformazione del fiume in un bacino, secondo gli stessi esperti porterebbe a un tale accumulo di sedimenti che la stabilità stessa delle future dighe sarebbe messa a rischio. Negli ultimi anni circa 150 ONG internazionali, oltre a personaggi del calibro di Manu Chao e Leonardo Di Caprio, hanno espresso appoggio agli oppositori delle centrali, per la salvaguardia del Vjosa. Nello scorso ottobre il governo dello stato balcanico ha sospeso questo e altri 2800 progetti simili per effettuare delle verifiche.
Dall’altra parte del mondo, in Cambogia, c’è un lago il cui nome può risultare sconosciuto ad un lettore europeo, ma la cui estensione non può lasciare indifferenti. Il Tonle Sap infatti ha una superficie di 14.500 chilometri quadrati (più grande della regione Campania) che lo rende il lago d’acqua dolce più grande del sud est asiatico. Non è difficile immaginare quante comunità dipendano dalla pesca nelle sue acque per la propria economia e sostentazione. Il Tonle Sap è un lago particolare: nella stagione più secca le sue acque vanno a scorrere nel fiume Mekong; mentre quando arriva la stagione delle piogge il Mekong è così gonfio che parte delle acque torna indietro a riempire di nuovo il lago. Negli ultimi anni però il cambiamento climatico globale ha fatto sentire anche qui i suoi effetti e il “riflusso” di acque dal Mekong, lo scorso anno è diminuito di oltre un quarto. Anche in questo caso, oltre al riscaldamento globale, al problema hanno contribuito delle opere umane: diverse dighe già realizzate o in corso di realizzazione punteggiano infatti sia il Mekong sia i suoi affluenti, aggravando la diminuzione della regolarità naturale del flusso. Il risultato è che dal 2003 al 2018 un terzo degli habitat naturali del lago è scomparso. La disponibilità di pesce è diminuita in misura tale che intere comunità di pescatori hanno dovuto spostarsi in aree protette per gettare le reti, minacciandone gli equilibri tra animali, pesci e piante. In altri casi i pescatori si sono reinventati agricoltori, rivolgendosi alle foreste circostanti in cerca di terreni da coltivare; con la conseguenza che il disboscamento è aumentato nella zona. Senza contare il fatto che una cultura antica fatta di case, villaggi e mercati galleggianti, sta scomparendo insieme all’acqua.
Sono due casi, diversi ma simili, che mettono in luce non solo gli effetti dirompenti delle “grandi opere” dell’uomo sulla Natura, ma anche le conseguenze per le comunità locali di interventi non ponderati e guidati solo dalla ricerca di un presunto progresso, quando non dal mero profitto. Queste due storie sono state raccontate di recente dal Water Grabbing Observatory, un osservatorio permanente sullo stato globale delle riserve idriche e sulle politiche legate all’acqua, fondato dal giornalista ambientale Emanuele Bompan, che ne è anche vice presidente.
“Quando c’è scarsità di un bene i soggetti di potere e diventano avidi – ha detto Bompan in una recente intervista pubblicata su EarthDay.it – Quindi da parte di stati, di soggetti privati, di multinazionali e imprese c’è una corsa all’accaparramento di queste risorse a discapito di soggetti più deboli: comunità, paesi senza eserciti potenti, o che mancano della capacità di determinare il proprio diritto all’accesso all’acqua.”
“Water grabbing” è un’espressione molto nota per chi si occupa di ambiente e sostenibilità, ma ancora colpevolmente sconosciuta al grande pubblico. Indica quelle pratiche di “accaparramento” (grabbing) delle risorse idriche di una comunità, di una regione o di una intera nazione, a vantaggio di interessi “superiori”: a volte di un governo miope; a volte di politici corrotti; a volte di grandi industrie e multinazionali (che hanno sempre bisogno di ingenti quantità di acqua per far funzionare gli impianti).
In occasione della Giornata Mondiale dell’Acqua, lunedì 22 marzo Earth Day italia e il Ministero della Transizione Ecologica hanno organizzato un evento online di libera visione per tutti dal titolo “Dare un valore all’acqua”. Giornalisti, amministratori pubblici, scienziati, rappresentanti del mondo dell’associazionismo e dell’imprenditoria racconteranno diverse sfaccettature della gestione e della tutela dell’acqua; con dei focus sulla situazione italiana e su quella internazionale, e approfondimenti sulla ricerca e sulle tecnologie sostenibili. Il tutto per immaginare e indirizzare un futuro dove il valore dell’acqua non venga stabilito dai mercati finanziari e dalle industrie che la imbottigliano, come purtroppo sta già avvenendo. L’appuntamento è per il 22 marzo, dalle ore 17 sul sito www.earthday.it.