Dal punto di vista delle politiche ambientali era l’appuntamento dell’anno, uno dei più importanti della nostra storia recente.
Ci eravamo lasciati con il sostanziale nulla di fatto di COP25 (Madrid 2019) e con l’uscita degli Stati Uniti di Trump dagli accordi di Parigi.
Due anni dopo, COP26, rinviata di un anno causa COVID, si presentava con un presidente USA più sensibile sulla questione climatica del suo predecessore, sulla scia del G20 di Roma, che aveva messo il clima al centro delle discussioni, e delle proteste dei giovani, tornati in piazza per ribadire il loro diritto al futuro.
“Siamo in una vettura il cui tubo di scappamento rilascia i gas di scarico all’interno dell’abitacolo, e l’autista decide di fermarsi tra 400 km invece di farlo subito.”
È questa la metafora che ha usato il presidente di Earth Day Italia Pierluigi Sassi, ospite di Uno Mattina, per descrivere la crisi climatica in corso.
Ebbene, a Glasgow i piloti del mondo sono stati chiamati a ratificare questo stop per contenere l’aumento delle temperature globali a fine secolo entro il grado e mezzo che nella storica COP21 di Parigi era stato definito come preferibile (obiettivo minimo è invece il contenimento dell’aumento delle temperature globali entro i 2° rispetto ai livelli preindustriali) e che oggi appare non solo vitale, ma anche, purtroppo, difficilmente raggiungibile.
Gli obiettivi
COP26 partiva con 4 obiettivi principali:
- Azzerare le emissioni nette a livello globale entro il 2050 e puntare a limitare l’aumento delle temperature a 1,5°C: ai paesi viene chiesto di presentare obiettivi ambiziosi di riduzione delle emissioni entro il 2030 e più nel particolare di accelerare il processo di fuoriuscita dal carbone, ridurre la deforestazione, accelerare la transizione verso i veicoli elettrici e incoraggiare gli investimenti nelle energie rinnovabili.
- Proteggere le comunità e gli habitat naturali: La riduzione delle emissioni non è sufficiente, il clima sta cambiando e continuerà a farlo. Bisogna proteggere e ripristinare gli ecosistemi, salvaguardare l’agricoltura e i mezzi di sussistenza.
- Finanziare la neutralità climatica: i paesi più sviluppati devono mantenere la promessa di mobilitare almeno 100 miliardi di dollari in finanziamenti per il clima, previsti già per il 2020. Le istituzioni finanziarie internazionali devono fare la loro parte, lavorando per liberare i trilioni di finanziamenti del settore privato e pubblico necessari per assicurare la neutralità climatica globale.
- Lavorare insieme per raggiungere gli obiettivi finalizzare l’Accordo di Parigi stabilendo regole chiare e condivise.
I risultati
COP26 si chiude tra impegni, promesse, consensi e molteplici contraddizioni. Il testo definitivo è stato sottoscritto con un giorno di ritardo a causa della difficoltà di trovare un punto d’intro tra i paesi partecipanti.
Alla fine è andata come molti si aspettavano e qualcuno temeva, con un accordo raggiunto, il Patto di Glasgow per il clima, frutto di un compromesso che per alcuni aspetti ci allontana dalla soluzione della crisi climatica e che rende possibile vedere il bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto a seconda dell’angolazione di chi guarda.
COP26 ratifica l’impegno a contenere il riscaldamento globale entro il grado e mezzo a fine secolo. Si confermano dunque gli accordi di Parigi fissando l’asticella in alto, ma, dopo già tanto tempo perso, ancora una volta non si è stati capaci di compiere quelle scelte coraggiose necessarie a centrare target forse già irraggiungibili.
Ecco allora che la proposta di uscita definitiva dal carbone (il cosiddetto phase out) diventa, principalmente a causa della pressione di India e Cina, impegno alla diminuzione (phase down) dell’utilizzo della più sporca tra le fonti energetiche.
Analogamente, riguardo i sussidi alle fonti fossili, si parla per la prima volta di uno stop, ma solo rispetto a quelle “inefficienti” e non è chiaro come e chi definisca cosa sia efficiente e cosa no con il rischio che poi ogni paese decida per sé.
Altro tema molto discusso quello del finanziamento del Fondo per il clima e a sostegno dello sviluppo sostenibile delle economie più povere del pianeta, una questione di etica e di giustizia ambientale. Si stima infatti che l’1% di popolazione più ricca al mondo inquini 30 volte oltre i limiti consentiti, mentre il 50% degli abitanti globali, considerati i più poveri, viva praticamente a impatto zero sul pianeta. Sostanzialmente i paesi poveri che in termini economici hanno contratto debito nei confronti dei paesi ricchi sono invece ampiamente in credito dal punto di vista dell’impatto sul Pianeta e pagano oggi le conseguenze di un “crimine” che non hanno commesso loro.
Ebbene, già dal 2020 le principali economie del mondo avrebbero dovuto mettere a disposizione un fondo da 100 miliardi di dollari a sostegno della transizione energetica dei paesi meno sviluppati. L’impegno preso è stato quello di raddoppiare gli stanziamenti tra il 2025 e il 2030, ma il primo target dei 100 miliardi è stato posticipato al 2023.
Sull’argomento è intervenuta l’attivista ugandese Vanessa Nakate, una delle giovani voci protagoniste della preCOP di Milano e della COP26, che ha sottolineato come l’Africa sia lasciata fuori dal dibattito sul clima, nonostante sia tra le più colpite dalle conseguenze del cambiamento climatico. L’Africa, infatti, è responsabile unicamente del 3% delle produzioni globali di CO2.
Il ruolo dei giovani
E di giovani come la Nakate ce ne sono stati tanti. Tra gli aspetti più postivi di questa COP rimane proprio il coinvolgimento dei ragazzi e delle ragazze che hanno contribuito in prima persona ad un vertice internazionale, ascoltati dai leader politici che ne hanno riconosciuto il ruolo centrale.
“Le future generazioni ci giudicheranno per quello che faremo o per i fallimenti che raggiungeremo. Dobbiamo ascoltarli, ma soprattutto dobbiamo imparare da loro”. Ricordava il Presidente del Consiglio Mario Draghi.
Il tema è quello del diritto al futuro, al nostro futuro, “Our future” come il titolo del brano lanciato con Earth Day a cop26 dal noto compositore Giovanni Allevi, nominato ambasciatore dell’Earth Day European Network, che ha voluto mettere al servizio dei giovani e della lotta al cambiamento climatico la sua arte. Una composizione, accompagnata da immagini suggestive che cercano di contrastare il suono catastrofico dell’agire umano.
“Fate chiasso” l’invito di Papa Francesco in occasione dell’incontro dello scorso 25 settembre con i giovani dell’Earth Day.
E i giovani un po’ di chiasso hanno fatto. Centinaia di migliaia di giovani hanno sfilato A Glasgow nelle piazze di tutto il mondo per chiedere ai grandi della Terra un impegno serio per tutelare il Pianeta e il loro stesso futuro e certamente non sono rimasti contenti.
“Ecco un breve riassunto: bla, bla, bla“.- ha commentato così Greta Thunberg l’esito di Cop26 – “Il vero lavoro continua fuori da queste sale. Non ci arrenderemo mai, mai”.
Road to Sharm el-Sheikh 2022
Oltre i bla bla bla, qualcosa di positivo questa COP lo lascia e ci proietta verso l’Egitto cui è stata assegnata la residenza di COP27
Due anni fa, quando il Regno Unito ha assunto la presidenza in collaborazione con l’Italia, solo il 30% del mondo condivideva l’obiettivo emissioni 0 al 2050. Oggi siamo intorno al 90%.
Significativa, nella speranza possa rivelarsi concreta, l’intesa sul fronte climatico tra le due principali economie del mondo (USA e Cina).
Sono stati siglati importanti accordi multilaterali come quello, guidato da Usa ed Europa, per limitare le emissioni di metano del 30% rispetto a quelle del 2020 entro la fine del decennio o la Beyond oil and gas alliance, un forum internazionale guidato da Danimarca e Costa Rica per mettere fine alle fonti fossili.
Importanti risultati anche sul fronte della protezione di preziosi habitat naturali, con l’ impegno di 130 paesi per porre fine alla deforestazione entro il 2030.
Ma soprattutto, per due settimane il clima è stato il centro della scena internazionale, e questo non era mai successo, e stati finora assolutamente silenti, se non negazionisti, rispetto alla questione climatica hanno fatto i primi passi prendendo consapevolezza della criticità della situazione.
COP26 ha definitivamente sancito l’assoluta centralità della crisi climatica e segnato un altro passo, nonostante le resistenze, sulla strada della decarbonizzazione. La strada è tracciata, ma serve accelerare in maniera importante.
La speranza è che l’intesa tra Cina e Usa trovi concretezza e che, al di là degli output al ribasso di Glasgow, i governi diano seguito all’impegno di porre la salvaguardia del pianeta agli interessi economici di breve termine.
La rivoluzione climatica che i giovani chiedono ha seguito finora i ritmi della politica passo dopo passo. Ora servono azioni concrete. Siamo aperti ad essere stupiti!