Lo scorso 22 aprile, in occasione della 52ma Giornata Mondiale della Terra, è andata in onda la terza edizione di #OnePeopleOnePlanet, maratona organizzata da Earth Day Italia e Movimento dei Focolari trasmessa in streaming da Ansa e Rai Play, che per 14 ore ha intrattenuto gli spettatori raccontando il bello del nostro Pianeta e l’impegno che tante persone profondono per conservarlo e proteggerlo.
One People One Planet. Una sola famiglia umana, un solo pianeta. Nel nome scelto dagli organizzatori di questa manifestazione quel senso di unità tra uomo e uomo e tra uomo e ambiente che più volte è risuonato anche negli scritti e nelle parole di Papa Francesco a cominciare dalla Laudato Si’.
Un richiamo, quello all’unità, tristemente attuale, a due mesi da quel 24 febbraio in cui le forze armate russe hanno invaso il Donbass trasformando la crisi russo-ucraina in una guerra aperta.
Da allora giornali e televisioni sono stati il megafono dei racconti e delle storie di una guerra che si è capito immediatamente sarebbe stata combattuta e pagata dalla popolazione civile.
Un conflitto, quello russo ucraino, drammaticamente vicino a noi, e non solo dal punto di vista geografico, ed è questa vicinanza che ha impedito a media e opinione pubblica di girarsi dall’altra parte lasciando la contesa nel bacino delle guerre dimenticate. Già perché oggi nel mondo, secondo le analisi di Acled – Armed conflict location & event data project – ong specializzata nella raccolta disaggregata dei dati sui conflitti, nell’analisi e nella mappatura delle crisi, sono 59 i conflitti aperti: dalla guerra civile in Afghanistan o in Siria al conflitto israelo-palestinese ormai quasi un rumore di fondo cui siamo tutti drammaticamente abituati e quasi disinteressati.
È chiaro che un evento così dirompente non poteva non influenzare anche le celebrazioni della Giornata Mondiale della Terra. Del resto ogni guerra, alla fine, si combatte per la terra, per le sue risorse, per le sue ricchezze, dall’acqua al petrolio, alle foreste, ai giacimenti minerari. Le stesse risorse che la guerra stessa va poi a distruggere o a compromettere.
Nell’Earth Day, il conflitto russo-ucraino è entrato con una domanda: qual è il ruolo che la società civile e i singoli cittadini possono svolgere di fronte a eventi tanto grandi?
Forse, semplicemente, quello di non assuefarsi al male, di continuare a spendersi per l’altro, di vivere la propria storia convinti che “Chi salva una vita salva il mondo intero”. Insomma, quello di costruire ponti tra culture, religioni, generazioni, pietra dopo pietra, passo dopo passo.
La figura del ponte è centrale in questa edizione di #OnePeopleOnePlanet, attraverso le esperienze di chi ha dedicato la propria vita al servizio degli ultimi e a costruire relazioni di pace. Storie come quella della dottoressa Kezevino Aram – pediatra nello Shanti Ashram ghandiano – da anni impegnata per la tutela della salute dei bambini e per lo sviluppo rurale integrato; oppure come quella di Oranne Corelli – giovane volontaria sull’Africa Mercy – nave ospedale della Mercy Ships ancorata nel porto di Dakar in Senegal.
Se i ponti costituiscono il primo pilastro che ha contraddistinto #OnePeopleOnePlanet, i giovani costituiscono senza dubbio il secondo.
Tantissime le scuole collegate nella mattinata del 22 aprile, tantissimi i progetti realizzati da istituti di ogni ordine e grado. Una grande testimonianza di impegno per la sostenibilità, dai piccoli gesti dei bimbi più piccoli, ai progetti dei ragazzi più grandi, mescolato ai colori arcobaleno della bandiera della pace.
Alla vigilia della COP26 Giovani, Papa Francesco si era rivolto a una delegazione di ragazzi portati in udienza da Earth Day Italia dicendo: “Ricordatevi che voi siete il presente e non il futuro dell’umanità, quindi fate chiasso per scuotere le coscienze di chi oggi governa il mondo”
E i giovani chiasso l’hanno fatto.
Non solo, come era nelle intenzioni del Santo Padre quando rivolse loro queste parole, per reclamare il diritto a vivere in un pianeta sano, vivo e colorato, ma anche nel gridare il proprio no ad ogni guerra e nel chiedere pace.
È da loro, cittadini globali e costruttori di relazioni per vocazione, che nasceranno costruttori di ponti; è a loro, che già si sono dimostrati saldi nel tenere alta l’attenzione sulla crisi climatica, che spetta il compito di tenere viva la speranza di un mondo più giusto e più sano. È da loro che i grandi della terra dovrebbero prendere spunto per tornare ad essere #OnePeopleOnePlanet.