Il mese di settembre è un mese di ripartenza. La ripresa delle scuole, e per molti anche l’avvio di un nuovo ciclo scolastico, segna nel nostro paese la vita di tante famiglie e tante ragazze e ragazzi. Quello ad avere accesso almeno ad una forma di scolarizzazione gratuita di base è un diritto riconosciuto all’articolo 26 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, che trova spazio anche nella nostra Costituzione, all’articolo 34. Si tratta di un diritto di base un vettore potente per una società meno diseguale, dove le differenze alla nascita vengono attenuate e non amplificate dal sistema educativo.
La frequenza scolastica non è infatti soltanto funzionale all’acquisizione delle competenze di base, necessarie per destreggiarsi nella vita quotidiana in modo attivo e consapevole, e in questo modo dare un contributo positivo alla costruzione della società. La scuola svolge un ruolo fondamentale nel definire uno spazio di interazione davvero pubblico e trasversale: soprattutto nella scuola primaria e nella secondaria di primo grado, la frequenza alla scuola rappresenta una occasione di conoscenza e di frequentazione tra persone e gruppi sociali che forse non avranno più la possibilità di incontrarsi in questo modo in tutta la vita. Se ci pensiamo, in una società solcata da disuguaglianze sempre più profonde, è l’unico spazio di questo tipo.
Investire sulla scuola e soprattutto su quella dell’obbligo, non è quindi un atto di ‘umanitarismo’, quanto una risposta necessaria ad una urgenza assoluta, se si vuole preparare una società in grado di reagire alle sfide che il nostro tempo ci propone, costruendo risposte condivise in una prospettiva di bene comune: le sfide della pace, del cambiamento climatico, di un modello di produzione e consumo ormai insostenibile richiedono di essere affrontate con uno sguardo inclusivo, in grado di elaborare una visione basata sui diritti e sul rispetto di ogni persona.
L’investimento sulla scuola è davvero fondamentale, ma c’è il rischio che nessun governo giochi le sue carte migliori su un ambito che darà frutti soltanto dopo molti anni, e dove il consenso politico che si può riscuotere è molto inferiore alla reale importanza sociale del tema… Si tratta invece di prendere sul serio una questione che tocca tutti da vicino. Pensiamo solo alla generosa accoglienza offerta ai ragazzi e alle ragazze in fuga dall’Ucraina: in questo settembre in moltissimi si affacceranno alle nostre aule scolastiche; spesso in situazioni nelle quali esistono altri ragazzi e ragazze provenienti da altre culture che lottano per ‘rimanere a bordo’ di un percorso scolastico che rischia di fatto di rimanere riservato a chi ha mezzi e risorse (anche culturali) per non perdere il treno. Chiunque abbia figli o nipoti in età scolare sarà stato testimone di casi in cui ragazzi privi degli strumenti di base per seguire con profitto lezioni e interazioni con i compagni sviluppano una (non sorprendente!) insofferenza nei riguardi della scuola, diventando a loro volta sintomi ingovernabili della situazione causata da una mancanza di attenzione strutturale nei loro riguardi. Anche qui: è possibile guardare ai casi singoli, contenendo o punendo le manifestazioni più estreme; ma occorrerebbe anche uno sguardo di maggiore lucidità su quanto la scuola nel suo insieme dovrebbe fare. Forse occorrerebbero più mediatori culturali, più insegnamento di lingua italiana, più ‘osservatorio sociale’ per prevenire le situazioni di marginalità più grave. Forse sono necessarie tutte queste cose più di quanto serva costruire un nucleo di ‘superinsegnanti’ all’interno di una categoria che certo nel suo insieme meriterebbe maggiore considerazione sociale e anche riconoscimento economico.
Tutto questo non può essere fatto al di fuori di una cornice di diritti. I ragazzi e le ragazze devono essere tutte poste nelle stesse condizioni di base. La miserevole imprenditoria politica di chi ha fatto le barricate contro l’ovvio e necessario riconoscimento dello ius scholae alle seconde generazioni delle comunità straniere in italia, difende in realtà una grossolana violazione del principio di uguaglianza per ragazzi e ragazze che non hanno altra casa se non il nostro paese, anche se hanno la pelle di un colore diverso e un nome che richiama terre lontane. Anche qui: chi costruisce barriere sta scommettendo sulla propria fortuna politica sostenuta da un ‘noi’ sempre più chiuso e asfittico, sempre più contrapposto a un ‘loro altri’ che si devono ‘guadagnare’ il diritto alla dignità. Preferiamo il richiamo di Papa Francesco nella Fratelli tutti: è solo costruendo un ‘noi più grande’ che comprendiamo veramente chi siamo, e possiamo realmente contribuire alla costruzione del bene comune e una vita più piena. E la scuola è davvero il primo passo di questo lungo e difficile percorso.