Si è svolto al CUM di Verona dal 17 al 21 ottobre scorsi il corso di aggiornamento per operatori pastorali stranieri che lavorano in Italia. Alla fine della settimana formativa, hanno desiderato scrivere e inviare alla chiesa italiana questa lettera.
All’attenzione della Chiesa italiana in cammino sinodale
Siamo presbiteri provenienti dall’Africa, dall’Europa, dall’Asia e dall’America. Ci troviamo in Italia, a servizio delle diocesi, da almeno un anno. Nel mese di ottobre 2022 abbiamo preso parte ad un corso di aggiornamento pastorale promosso dal CUM, a Verona. Coinvolti in una dinamica di dialogo sinodale, vogliamo comunicarvi la nostra esperienza.
La nostra prima parola è di ringraziamento per le Chiese che ci hanno accolto e ci permettono di stare qui. Pensando alle prime difficoltà incontrate, ce ne vengono in mente due: la lingua italiana e la necessità di cucinare. Il superamento di queste simpatiche sfide è stato lo sforzo per entrare nella cultura e nella società italiana. È stato difficile, e lo è tutt’ora, ottenere i documenti necessari alla nostra permanenza nel paese. Ci fa male riscontrare delle chiusure e riluttanze anche negli uffici ecclesiastici.
Per quando riguarda il nostro inserimento nelle comunità parrocchiali, soprattutto all’inizio, abbiamo notato una diffidenza e talvolta anche freddezza da parte della gente. Tuttavia dobbiamo riconoscere e ringraziare chi si è dimostrato aperto verso noi preti stranieri e paziente nell’accettare la nostra difficoltà con la lingua. Ci siamo scontrati anche con alcuni pregiudizi, dovuti a superficialità, riguardo ai nostri paesi di provenienza, la loro storia e la loro situazione sociopolitica. Altre volte sentiamo dire che la nostra presenza è motivata dalla ricerca di miglioramento economico e comodità di vita.
In realtà, ciò che ci motiva è il desiderio di condividere con il popolo e con la Chiesa in Italia la ricchezza culturale ed ecclesiale dei paesi e delle Comunità cristiane che ci inviano, con gentilezza e senza pretese, aperti ad accogliere una nuova cultura e ad inserirci in una tradizione cristiana che sentiamo ancora profondamente radicata e che ci affascina soprattutto per le tante manifestazioni di santità che ha generato ed ancora genera.
Stiamo scoprendo tante ricchezze nella Chiesa che è in Italia: la sua storia plurimillenaria, l’organizzazione, anche economica, le strutture, come gli oratori, la presenza di cristiani convinti, la generosità del loro impegno, la solidarietà, la serietà dei cammini di formazione, specie del clero, la varietà di espressioni di pietà popolare e di forme di preghiera. Riconosciamo all’Italia la capacità di accogliere popoli diversi e diverse espressioni culturali e di fede. La presenza delle facoltà teologiche permette scambi fruttuosi con tutto il mondo.
D’altra parte, nelle Chiese che ci accolgono riscontriamo anche dei limiti, come l’invecchiamento dei partecipanti, la poca presenza dei giovani, un certo senso di superiorità, una certa stanchezza e monotonia, si vedano ad esempio i canti, il clero anziano che tende a conservare ed ha paura delle novità, o ad accomodarsi, senza più slancio o coraggio nell’affrontare temi decisivi. Ciò risulta in difficoltà per il nostro inserimento, perché incontriamo rigidità, difficoltà di dialogo, diffidenza davanti a nuove proposte. Ci pesa in alcuni casi la mancanza di comunicazione e di dialogo coi confratelli o con lo stesso vescovo. La nostra presenza viene vista da alcuni come destabilizzante, si creano rivalità, si teme la diversità. Abbiamo anche notato la necessità di maggiore formazione, specie per i laici, che potrebbe rilanciare le comunità. Ad esempio, la ristrutturazione del territorio in Unità pastorali risulterebbe molto più efficace se fosse adeguatamente preparata da parte di tutti.
Non vogliamo però che sia il giudizio negativo a prevalere, perché siamo contenti di essere qui, in realtà a volte difficili ma sempre stimolanti, e soprattutto siamo pronti a donare con gioia quelle che riteniamo essere le ricchezze che portiamo con noi: la nostra persona donata al Signore e agli altri, l’entusiasmo della nostra giovane età e della giovinezza delle Chiese da cui proveniamo. Esse ci hanno fatto provare l’entusiasmo nel vivere la fede, nell’amare la Chiesa, nell’annunciare con coraggio il Vangelo. Molti di noi hanno potuto approfondire gli studi e questi, insieme allo slancio che portiamo dentro, ci permettono di osare nuovi cammini per rivitalizzare la parrocchia, a partire dall’esperienza delle piccole comunità, per ridare gioia alle nostre liturgie, per non disperdere la ricca tradizione di spiritualità. Sentiamo di avere sensibilità nell’ascolto di tutti, cominciando dai piccoli e dai poveri: possiamo aiutare nell’accoglienza di chi viene da altri continenti in cerca di migliori condizioni di vita, stiamo diventando esperti di interculturalità, così importante per la nostra società. Abbiamo felicemente scoperto, nella breve esperienza di questi giorni, tanta ricchezza umana tra di noi ed anche differenze che rendono bene la bellezza poliedrica della Chiesa, come la diversità dei riti liturgici (quattro riti oltre a quello latino) la presenza tra di noi di presbiteri sposati di rito orientale, che ci stimola a riscoprire la bellezza tanto della famiglia come della scelta celibe; diversità queste che favoriscono il dialogo ecumenico tra i cristiani e ci rendono tutti più aperti. Mentre dunque offriamo il nostro servizio alla Chiesa italiana, ci sentiamo di augurare che la nostra presenza favorisca l’incontro e il dialogo a tutti i livelli: nelle comunità cristiane, nel presbiterio, nella diocesi, il necessario dialogo tra le Chiese, quelle che ci hanno inviato e quelle che ci accolgono, così da sentirci tutti Chiesa missionaria in cammino. Saremo allora segno di un’umanità riconciliata e unita, dove tutti i figli e le figlie di Dio riconoscono di avere un’unica dignità che non dipende dai tratti somatici, dal colore della pelle o dal paese di provenienza.