Microcredito e inclusione finanziaria possono essere rispettivamente strumento e misuratore delle diseguaglianze fra i cittadini? Non è domanda retorica dal momento che lo sviluppo del credito e delle possibilità di accesso sono elementi delicati, che consentono letture da diversi punti di vista. Il credito, e dunque la possibilità di accedervi, è considerabile un diritto umano, cioè uno strumento importante e, per certi aspetti, irrinunciabile nel mondo odierno di empowerment di persone, comunità e imprese. E’ evidente che chi deve accedere al credito per realizzare i propri progetti d’impresa oppure di formazione o anche familiare non è depositario di grandi patrimoni propri e quindi la possibilità di accesso tende a riequilibrare le disparità esistenti. Il microcredito, in particolare, cerca di dare risposta ai soggetti il cui bisogno è più basilare. Persone e soggetti, si dice, non perfettamente bancabili che, dunque, hanno maggiori difficoltà ad essere finanziati attraverso i canali ordinari della finanza. Misurare e intervenire con strumenti appropriati ed efficaci su questo fenomeno è, dunque, importante per un’azione perequativa della ricchezza che non è solo redistributiva, ma anche – e soprattutto – di capacitazione.
Qual è la situazione al proposito in Italia? Un recente rapporto, Inclusione finanziaria e microcredito per rispondere alla crisi sistemica, predisposto da Banca Etica, Borgomeo & co e RITMI, offre un quadro abbastanza preciso al riguardo.
Intanto l’inclusione finanziaria, dopo anni di peggioramento, ha preso finalmente a migliorare. L’indicatore alla base del rapporto è stato ideato da Banca Etica ed è basato su un’indice di intensità creditizia (cioè il rapporto tra i finanziamenti erogati e il PIL) e su un indice relativo alle condizioni di offerta del credito (ovvero la propensione del sistema bancario ad erogare finanziamenti in diverse aree del Paese). Tramite questo indicatore si è accumulato una serie storica di dati dal 2012 al 2020. Dall’inizio di questa serie (2012) fino al 2018, l’indice è andato costantemente peggiorando, registrando cioè una “stretta creditizia” che tagliava fuori dall’accesso al credito un numero crescente di persone fra quelle più fragili. Ma dal 2018 la tendenza si è invertita e nel 2020 rispetto al 2019 si è registrato un balzo in avanti del 5,1%. Da cosa è stato determinato? Certamente dalle misure di politica monetaria della BCE che hanno reso meno oneroso il costo del denaro, ma anche dalla maggiore propensione delle banche ad erogare finanziamenti, soprattutto nel segmento della finanza digitale di taglio minore (internet banking, phone banking), che è quello a cui è più facilmente ricorrono tipologie di popolazione con maggiori difficoltà ad accedere allo sportello per i più diversi motivi. Tuttavia, anche in questa nuova tendenza al miglioramento dell’inclusione finanziaria, resta forte il divario nelle regioni del Sud Italia (-19% rispetto al resto del paese) e nelle isole (-18%). Ciò nonostante il differenziale si stia comunque riducendo. Anche nella propensione ad erogare nuovi crediti da parte delle banche, ci sono alcuni segnali di rallentamento, nel 2020 rispetto al 2019, soprattutto nel Centro Italia (-1,3%), al Sud (-0,6%) e nelle isole (-0,5%), dovuto alla minore penetrazione territoriale tramite sportelli e al rallentamento della diffusione dei servizi telematici.
Dal punto di vista regionale, guida la classifica con maggiore inclusione finanziaria il Trentino Alto Adige, seguita da Lombardia, Lazio, Veneto ed Emilia Romagna; mentre in fondo alla classifica restano Campania, Sicilia, Basilicata, Calabria, Molise.
Nella ricerca troviamo un approfondimento sull’inclusione economica e finanziaria di genere. Nella quale l’Italia segna, storicamente, a livello internazionale una particolare arretratezza, legata alla differenza nell’accesso al lavoro per le donne (-18,4% rispetto agli uomini a fine 2021) secondo i dati del World Economic Forum del 2022, nonché una scarsa alfabetizzazione finanziaria. Tuttavia da circa 10 anni si registrano progressi nell’accesso ai servizi bancari di base (conto corrente, carte, finanziamento, deposito) per le donne. Si tratta pur sempre di accesso a servizi bancari elementari; tuttavia, sono di fondamentale importanza per far crescere l’autonomia della donna, anche nell’ambito familiare e comunque nella società.
Il rapporto segnala anche il contributo che Banca Etica ha dato a questa tendenza. Nell’accesso a questi servizi finanziari di base, le clienti di Banca Etica superano gli uomini del 2% e, in particolare, nei depositi del 5%. Le donne destinatarie di nuova finanza in Banca Etica sono il 45,5%, rispetto ad una media nazionale del 35%. E anche le imprese femminili finanziate da Banca Etica nel 2021 sono state 490, cioè il 24,9% di tutte le imprese finanziate nell’anno.
Nella seconda parte del rapporto, in particolare curata da Borgomeo & co., ci si concentra sullo strumento microcredito, che nel 2021 ha raggiunto un livello di erogazione pari a 216,89 milioni di euro a favore di 15.239 beneficiari. Sia l’ammontare complessivo quanto il numero di beneficiari registrano un calo (227 milioni e 17.000 beneficiari nell’anno 2020). E’ significativa l’eterogeneità delle iniziative di microcredito. Sono prevalenti quelle regionali (40%), che raggiungono il 15% dei beneficiari e il 18% del totale dell’importo dei prestiti. Seguono quelle provinciali (30%), con il 4% dei beneficiari e il 3% dell’importo complessivo. Significative le iniziative che coinvolgono più regioni, che con solo il 19% dei programmi, raggiungono il 78% dei beneficiari ed erogano il 77% dell’importo totale dei prestiti. Infine le iniziative comunali che arrivano all’11%, con il 3% dei beneficiari e il 2% del totale dei prestiti.
E’ da segnalare la crescita del microcredito per startup e lavoro autonomo (+43% rispetto al 2020), con un importo complessivo di 18,66 milioni di euro (+70%). Crescono i programmi di microcredito nei quali gli obiettivi produttivi e sociali sono congiunti (+56%).
Il decremento degli importi di microcredito con finalità di antiusura (21,36 milioni; -12%) è, invece, un segnale non positivo.
Infine, aumenta il valore medio dei prestiti attraverso microcredito (quasi 18.000 € rispetto ai 13.000 del 2020). Mentre è drastica la riduzione del numero dei programmi nuovi (6 rispetto ad una media di 21 dal 2006), pur a fronte di un aumento del numero dei prestiti (15.000 di media all’anno). Cioè significa che si è puntato a consolidare e rafforzare i programmi esistenti piuttosto che sull’avvio di nuovi.
Ora, certamente dietro questi numeri, c’è una realtà di crescita di questo strumento come utile modalità di accesso al credito e, dunque, di inclusione finanziaria, anche se esso si caratterizza sempre più come uno strumento “ordinario” e non straordinario rispetto ad una popolazione di esclusi socialmente dai canali tradizionali del credito. E’ verosimile che questa tendenza possa consolidarsi nei prossimi anni, soprattutto se continuerà a crescere il costo del denaro su cui le istituzioni che gestiscono programmi di microcredito non potranno competere con le maggiori istituzioni del credito, a meno di un intervento significativo di soggetti pubblici a garanzia del microcredito erogato, dal momento che i costi di gestione dei microcredito sono più elevati del credito ordinario. Tuttavia è innegabile che lo strumento si è affermato, anche in Italia, come un potente agente di riequilibrio delle disuguaglianze in quella attività fondamentale per lo sviluppo umano, sociale e imprenditoriale che è il credito.
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