Recentemente la Confederazione Italiana Sindacati Lavoratori (CISL) ha promosso e formalmente presentato una proposta di legge di iniziativa popolare sulla partecipazione gestionale, finanziaria, organizzativa e consultiva dei lavoratori alla gestione, alla organizzazione, ai risultati e alla proprietà delle aziende. Si tratta di un’iniziativa significativa, soprattutto dal punto di vista simbolico.
La proposta della Cisl, infatti, certifica un cambiamento di approccio delle parti sociali in merito all’attuazione dell’art. 46 della Costituzione: esse, infatti, da qualche anno hanno abbandonato la reticenza verso forme di partecipazione alle strutture produttive, considerate un tempo come forme di commistione con il capitale e di depotenziamento dell’atteggiamento antagonistico verso i datori di lavori. A testimoniare questo cambio di rotta – sia dei sindacati che delle organizzazioni datoriali – è stato il primo intervento del neo presidente del Cnel, Renato Brunetta, che dalle pagine del Corriere della Sera ha indicato come priorità del nostro tempo quella di “far partecipare i lavoratori ai destini delle imprese”.
La proposta di legge è articolata, ma nel suo contenuto essenziale essa è molto semplice: introdurre per legge la possibilità che la contrattazione collettiva attivi meccanismi di partecipazione gestionale (sulle scelte strategiche dell’impresa), economico-finanziaria (partecipando dei profitti e ai risultati dell’impresa, anche tramite forme di partecipazione al capitale, tra cui l’azionariato), organizzativa (modalità di coinvolgimento dei lavoratori nelle decisioni relative alle varie fasi produttive e organizzative della vita dell’impresa) e consultiva (attraverso l’espressione di pareri e proposte nel merito delle decisioni che l’impresa intende assumere).
La proposta di legge non sembra trovare ostacoli e obiezioni da parte delle organizzazioni sociali, in quanto rinvia alla contrattazione collettiva ogni discussione in merito alle modalità operative di collaborazione. D’altra parte, l’adozione di un legge sulla partecipazione sarebbe un passaggio decisivo per ripensare i rapporti economici (locali e globali) e per ridurre le diseguaglianze, su almeno tre piani.
In primo luogo, la partecipazione dei lavoratori restituisce dignità agli impiegati perché li include nelle scelte dell’organizzazione in cui loro già collaborano mediante la prestazione della loro opera. Come è sottolineato nel testo di accompagnamento della proposta di legge, «la democrazia economica può e deve essere uno strumento di coinvolgimento diretto dei cittadini
nella vita del Paese attraverso il quale i cittadini e le cittadine possano, sempre richiamando il dettato costituzionale, svolgere pienamente la propria personalità».
Vi è poi il livello della connessione tra impresa e territorio: il coinvolgimento dei lavoratori garantisce che le scelte aziendali siano più attente alle esigenze dei luoghi ove si colloca la produzione (pensiamo all’impatto ambientale o alle conseguenze delle delocalizzazioni).
Infine, la partecipazione dei lavoratori ha una valenza che supera i confini nazionali e riporta al centro della produzione le “persone che lavorano”. Questo modello di rapporti economici contiene in sé una prospettiva di giustizia economica in grado di andare oltre i confini degli Stati: le aziende che hanno adottato tali modelli partecipativi (in particolare quelle tedesche, mediante la cosiddetta Mitbestimmung) li hanno esportati in tutto il mondo, nelle loro catene di valore, contribuendo a innalzare le tutele e i diritti dei lavoratori e il rispetto per i territori e le società locali.
La sfida della partecipazione economica non è solo una questione sindacale, ma assume una valenza decisiva per l’economia globale ed è un modo – semplice, ma radicale – per ripensare i rapporti di potere e per ridurre le diseguaglianze, a partire dai luoghi di lavoro.
Foto di copertina di Marten Bjork su Unsplash