Si potrebbe essere tentati di esultare per i dati sulla disuguaglianza globale del Rapporto 2023 del Credit Suisse Research Institute uscito qualche settimana fa. Dal 2008 questo rapporto misura la distribuzione della ricchezza nel pianeta e nel 2022, per la prima volta, registra una riduzione significativa del numero dei milionari. Sono stati 59,4 milioni, considerati anche e cd. “milionari dell’inflazione” cioè quelle persone che non avrebbero più i requisiti per esserlo se la soglia milionaria venisse adeguata all’inflazione nel 2022.
L’1% più ricco della popolazione mondiale deteneva nel 2022 “solo” il 44,5% della ricchezza globale, con una riduzione che li riporta al livello del 2019.
Il gruppo degli ultra-ricchi, individui con ricchezza superiore a 50 milioni di dollari, ha registrato un calo di 22.490, che si concentra per l’81% nel Nord America.
A cosa è dovuta questa inversione di tendenza? E’ davvero una tendenza verso un maggior equilibrio nella distribuzione della ricchezza? La forbice si sta veramente chiudendo?
Prima di tutto, comunque, si tratta di una parentesi. Non vi preoccupate, di affrettano a predirre gli analisti di Credit Suisse, dal 2023 tutto tornerà come prima: la ricchezza globale crescerà del 38% fino al 2027 e i milionari torneranno parallelamente a crescere del 45%, fino a raggiungere il numero record di 86 milioni.
Infatti il dato del 2022 è drogato dal fatto che è stata registrata una decrescita della ricchezza globale di 1.300 miliardi di dollari (-2,4%), scendendo a 454.400 miliardi. Da dove deriva questo declino? Per la maggior parte dall’apprezzamento del dollaro su diverse altre valute. Se il tasso di cambio fosse rimasto quello del 2021, allora la ricchezza globale sarebbe cresciuta del 3,4%, la crescita minore dal 2008, ma pur sempre una crescita. Se invece teniamo i tassi di cambio costanti al 2021 e consideriamo gli effetti dell’inflazione, la perdita di ricchezza globale sarebbe stata del 2,6%.
La lettura di tutti i diversi dati – compresa la concentrazione di riduzione della ricchezza soprattutto in nord America e in Europa – ci indica che l’incidenza maggiore sulla perdita di ricchezza viene dagli asset finanziari, mentre quelli non finanziari si sono dimostrati più resilienti, nonostante la crescita dei tassi d’interesse. Si è ridotta la ricchezza immateriale, finanziaria, e dunque è logico che a “soffrirne” di più siano i … più ricchi dei paesi sviluppati. Questo però significa che per i più poveri, che vivono solo della vendita della propria forza lavoro, che non “giocano” in borsa e non investono i propri risparmi semplicemente perché non li hanno, per loro nulla è cambiato. Cioè non si è avuta alcuna vera redistribuzione di ricchezza.
Dunque, per la statistica la forbice si è (momentaneamente) socchiusa, ma nella realtà della vita delle persone, dell’economia reale, tutto è rimasto invariato. Anzi, l’inflazione ha picchiato duro proprio sulle categorie di persone più fragili. Fra questi gli appartenenti alla Generazione X e i Millennials.
C’è, dunque, un tema di giustizia, di equità sostanziale. O meglio di ingiustizia palese. Chi produce la ricchezza nell’economia reale, ne beneficia in misura sempre minore. Soprattutto nei paesi dove le risorse naturali hanno sede, queste vengono sfruttate arricchendo i già ricchi e i più potenti e impoverendo sempre di più gli ultimi. Nel mondo ricco si riproduce la stessa dinamica, spingendo sempre più persone lavoratrici verso la linea di demarcazione della povertà. Ma il rapporto di Credit Suisse si preoccupa del fatto che diminuiscono i milionari, mentre dovrebbe preoccuparsi che aumentano i poveri.
Chi parlerà per questi ultimi? O, meglio, chi non parlerà in loro favore potendolo fare, commetterà il più grande dei peccati e sarà complice della più grande ingiustizia. Anche se non avrà violato nessuna legge.
Il pensiero non può non andare all’insegnamento di don Lorenzo Milani, nel centenario della sua nascita. E in particolare al suo testo, forse, più “eretico”: L’obbedienza non è più una virtù. Scrive ad un certo punto nella sua lettera ai giudici: “Dovevo ben insegnare come il cittadino reagisce all’ingiustizia. …non posso dire ai miei ragazzi che l’unico modo d’amare la legge è d’obbedirla. Posso solo dir loro che essi dovranno tenere in tale onore le leggi degli uomini da osservarle quando sono giuste (cioè quando sono la forza del debole) Quando invece vedranno che non sono giuste … essi dovranno battersi perché siano cambiate”.
Non è, dunque, possibile l’inerzia davanti alla legge ingiusta: obbedirle non è amarla, ma tradirla. Occorre “avere il coraggio di dire ai giovani che essi sono tutti sovrani, per cui l’obbedienza non è ormai più una virtù, ma la più subdola delle tentazioni, che non credano di potersene far scudo né davanti agli uomini né davanti a Dio, che bisogna che si sentano ognuno l’unico responsabile di tutto”. Questo dissidio è, in fondo, il destino della legge nei suoi 25 secoli di storia: il rapporto fra essa e il diritto, fra lex e ius. Lo scontro fra norma morale e legge del potere; il conflitto fra Antigone e Creonte. Da una parte, lo ius “non scritto e non mutabile, che non è né di ieri né di oggi, ma da sempre, di cui è ignota la rivelazione” (Antigone); dall’altra le leggi della città-Stato nel mondo greco, oggi diremmo della imperante forma globale del capitalismo finanziario, che esigono obbedienza uniforme e incondizionata. Leggi che si impongono come ineluttabili, decretando chi nascendo sarà povero e chi invece sarà ricco. Come scriveva Max Weber un mondo in cui la legalità è forma esclusiva di legittimità. Il testo di don Milani, vergato nel pieno di un conflitto giudiziario e in limine alla sua stessa vita, rompe questo assioma, senza per questo tornare acriticamente alla legge naturale. Appelli alla indiscutibilità della legge o alla sacralità dello ius ci devono allarmare, mettere sul “chi va là”. In politica come in economia.
L’ineluttabilità di questo ordine finanziario è la fonte dell’ingiustizia somma, a cui non è giusto obbedire. Il motto milaniano trova così oggi una nuova stringente attualità. Ed è da questa consapevolezza che prende le mosse la 30° Marcia per la Giustizia di Quarrata (Pistoia) il prossimo sabato 9 settembre a cominciare dalle ore 20,45, promossa da Libera, Rete Radié Resch e dal Comune di Quarrata. Ma tutti noi che l’abbiamo frequentata sappiamo che questa marcia è figlia di un uomo solo, Antonio Vermigli, che purtroppo ci ha lasciato poche settimane fa. Antonio era un uomo del popolo, che aveva un senso profondo, “milaniano”, della giustizia, che da questo piccolo paese toscano allargava lo sguardo sul mondo intero. Di una obbedienza cieca che non solo non è più una virtù, ma che rischia di fari complice dell’ingiustizia, parleranno a Quarrata don Luigi Ciotti, Rosy Bindi, Alex Zanotelli, Erri De Luca, Mario Lancisi. Le loro parole, le idee di Antonio, sulla giustizia forse non arriveranno alle orecchie dei ricercatori di Credit Suisse. Ma non si sa mai: la storia dà a volte dei colpi di timone improvvisi e il suo corso cambia inaspettatamente. Così come fece don Milani dal piccolo paese sperduto del Mugello, Barbiana, da dove il suo magistero si è diffuso per il mondo intero.
Foto di copertina dal sito della Fondazione Don Lorenzo Milani