Quando ripenso alla nostra storia, mi commuovo.
Ho davanti i volti di chi ci ha aiutato, guidato, anche corretto, lo sguardo dei “piccoli” che si sono tolti il pane di bocca per una carità, ma anche la vita buona dei “grandi” che hanno incrociato il nostro cammino. Penso a figure come padre Michele Pellegrino, arcivescovo di Torino, papa Paolo VI, Madre Teresa di Calcutta, dom Helder Camara, frère Roger della comunità di Taizé, Giovanni Paolo II e tanti altri.
Poi, il sindaco di Firenze Giorgio La Pira. Fu lui a farci scoprire la profezia di Isaia, le parole che annunciano un tempo in cui le armi non saranno più costruite e i popoli non si eserciteranno più nell’arte della guerra. All’epoca ero molto giovane e non avevo ancora tutto chiaro, ma nel cuore sentivo che forse Dio ci avrebbe usato per fare qualcosa del genere. In fondo, l’Arsenale della Pace, la realtà di una vecchia fabbrica di morte trasformata in casa di vita, è nata proprio da quell’appuntamento.
Oggi non ho problemi a vedere nell’incontro con La Pira, l’incontro con un politico santo. Perché riconosciuta o no a livello ufficiale, per me la santità ha quello stile, ha quella credibilità. La Pira ci ha aiutato a capire che un grande obiettivo non si realizza mai da solo, ma con impegno, con gradualità, con umanità. La pace è così: non è uno slogan da gridare nelle piazze o nei cortei. La pace, come la speranza e l’amore, è un fatto concreto, è una scelta di vita, è l’impegno radicale a lottare contro ogni ingiustizia. La forza di un ideale può essere dirompente, ma dobbiamo avvolgerlo continuamente di pazienza, di delicatezza: abbiamo bisogno di riscoprire ogni giorno le nostre motivazioni, di dire il nostro sì. A quel punto diventeremo indomabili, sentiremo l’urgenza di non tacere di fronte a migliaia e migliaia di guerre nella storia e a centinaia di milioni di morti. A non stancarci nel dire che le armi non devono essere più costruite perché uccidono e lo fanno tante volte, quando sottraggono investimenti allo sviluppo, quando lasciano sul campo morti e feriti, quando preparano la vendetta, quando devastano per sempre l’equilibrio dei reduci.
Credo che le tragedie della storia e la complessità geopolitica del mondo di oggi ci dicano che non è più tempo di aspettare. L’umanità può rinascere! Ognuno di noi può farlo, vivendo – se è credente – la santità come forma più alta del proprio essere al mondo. Da non credente, l’impegno continuo a cambiare, a convertirsi per convertire il corso negativo della storia. Tutto il resto non conta.
Mai come oggi è tempo di pace, tempo di perdono, tempo di incontro, tempo di credere che possiamo essere davvero custodi gli uni degli altri. Con il contributo di tutti, l’umanità può diventare come una famiglia, in cui ogni differenza, ogni colore, ogni cultura siano semplicemente le sfumature della fantasia di Dio.
Un’umanità così sarebbe l’artefice di una vera rivoluzione, di una primavera di pace e di riconciliazione. E allora, prepariamo la pace con scelte e con gesti di giustizia!
Facciamolo, non abbiamo paura, non esitiamo!
Chiediamolo prima di tutto a noi stessi: “Pace, che cosa posso fare per te?”.
Una domanda apparentemente piccola che però può cambiare il mondo.
E per noi cristiani aprire una via di santità.