Il 1° novembre 1993, con l’entrata in vigore del Trattato di Maastricht, veniva istituita l’Unione Europea, ulteriore tappa miliare del cammino intrapreso dopo la seconda guerra mondiale per dare concretezza alle aspirazioni di pace dell’Europa. Mai come ora è fondamentale trovare strade comuni che portino alla pacifica convivenza e a un futuro sostenibile.
Ci troviamo a vivere in un mondo sempre più interconnesso, vario, caotico nelle sue manifestazioni, più complesso e più complicato di prima. Cerchiamo soluzioni che ci diano un minimo di sicurezza, un’apertura di prospettiva, una condizione base di vita accettabile non per “Questi” o per “Quelli” ma per ciascuna persona, a partire dalle diverse situazioni in cui ciascuno si trova.
A metà del secolo scorso, dopo una guerra mondiale spaventosa, alcuni Paesi europei hanno tentato una ricostruzione della convivenza reciproca, mettendo simultaneamente all’orizzonte e alle pratiche di partenza una prospettiva di “pace” che, pur tenendo saldo l’ideale, non lo negasse poi nei processi.
Per farlo, i 6 Paesi fondatori del primo nucleo di Comunità Europea (da cui è poi scaturita l’Unione Europea) scelsero e avviarono un percorso di progressiva integrazione attraverso la costruzione di una realtà sovranazionale.
Il filo conduttore del cambiamento era la consapevolezza che per stare insieme bisognasse superare la realtà dello Stato nazionale, che nei suoi sviluppi estremi era stata una delle cause principali delle due guerre mondiali: la patria, il sacro suolo, l’interesse nazionale, la politica della supremazia degli uni sugli altri, la forza come dirimente conclusiva dei contrasti. La terra europea doveva diventare un’area di pace.
Il processo dell’unificazione europea non è mai stato un luogo ristretto: ha sempre avuto sullo sfondo la prospettiva mondiale, con la consapevolezza che questa realizzazione fosse anche un modello per la costruzione di una realtà mondiale futura.
La pace come orizzonte comune ha bisogno di strutture internazionali che partano dalla parità degli Stati coinvolti senza egemonie, dal rispetto delle diversità di partenza, dall’adesione libera e graduale e non imposta, e dalla costruzione, col tempo, di istituzioni sempre più consone al loro scopo universale, essendo quelle attuali superate dai fatti e non più in grado di funzionare. Se è stato possibile – pur con una guerra in corso (Ucraina) che va risolta sul piano diplomatico, e pur con una struttura istituzionale che deve essere completata – un cammino di pace per i popoli europei che per secoli si sono scannati in guerre continue, forse è possibile anche per l’assetto mondiale. L’Unione Europea nel suo insieme ha le risorse e la possibilità di promuovere una politica estera innovativa e diversa. Gioverebbe anche a ciascuno Stato europeo che oggi, preso singolarmente, non ha più la portata sufficiente per muoversi in autonomia.
Più Europa dunque per la pace.
* Aldo Bianchin è membro della Direzione Nazionale del MFE (Movimento Federalista Europeo)
La versione originale dell’articolo è stata pubblicata su Sempre News, giornale online della Comunità Papa Giovanni XXIII
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