Il 24 aprile 2016, visitando il Villaggio per la Terra, manifestazione che Earth Day Italia organizza ogni anno in occasione della Giornata Mondiale per la Terra, Papa Francesco dopo aver ascoltato le testimonianze del Villaggio, centrò il suo discorso sulla metafora del deserto e della foresta, caotica e disordinata, ma allo stesso tempo ricca di vita.
Durante quell’incontro disse una frase che da allora accompagna la manifestazione e ispira gli organizzatori: “Trasformate i deserti in foreste”, allo stesso tempo riconoscimento per quanto fatto, ma anche e soprattutto invito e monito per il futuro.
Ecco, a ben vedere direi che stiamo facendo esattamente il contrario. Stiamo lentamente trasformando zone del mondo ricche di vita e di colori in luoghi inospitali e aridi.
Secondo l’Atlante mondiale della desertificazione, redatto dal Centro comune di ricerca (JRC), il servizio della Commissione europea per la scienza e la conoscenza, oltre il 75% della superficie terrestre è già degradato e questa percentuale potrebbe raggiungere il 90% nel 2050.
Attenzione, è bene chiarire che stiamo parlando di degradazione, che è cosa diversa dalla desertificazione, di cui pure costituisce lo stato iniziale.
La desertificazione è definita infatti come un lento degrado del territorio causato dall’erosione del suolo, per fattori naturali o più spesso per fattori umani, dello strato apicale del terreno, quello più fertile, e della vegetazione che lo ricopre. Se non si arresta questa progressiva degradazione si giunge alla fase finale di tutto il processo e ai deserti che comunemente conosciamo.
Non parliamo quindi di tre quarti del pianeta trasformati in deserto, ma, questo sì, di buona parte della superficie globale che è già interessata dal fenomeno della degradazione in stadi più o meno avanzati.
L’Atlante ci restituisce un quadro preoccupante: ogni anno si degrada una superficie pari alla metà di quella dell’Unione Europea, equivalente cioè a 4,18 milioni di km2 e le prospettive sono terribili se non si interverrà rapidamente per invertire la rotta. Il rapporto stima infatti per il 2050 una riduzione del 10% dei raccolti mondiali, con picchi in India, Cina e Africa subsahariana dove potrebbe dimezzarsi la produzione agricola.
Niente cibo niente vita, per questo, sempre al 2050, 700 milioni di persone saranno costrette a spostarsi a causa della scarsità di risorse.
Ad essere particolarmente colpite dal fenomeno le popolazioni già oggi più povere e in difficoltà che, come più volte abbiamo fatto notare in questa campagna, saranno le prime a pagare per la condotta scellerata che i paesi più industrializzati del mondo hanno perseguito e in molto casi si ostinano a perseguire dal punto di vista ambientale.
L’aumento della degradazione del suolo è infatti accelerato dal cambiamento climatico, che come sappiamo è di origine antropica e in particolare dovuto alle emissioni di gas climalteranti nell’atmosfera.
Il problema come italiani ci riguarda molto da vicino, lo scorso 17 giugno in occasione della giornata mondiale della desertificazione, la Coldiretti ha lanciato l’allarme riprendendo alcuni dati Crea presentati dal Cnr durante l’Expo di Milano: un quinto del territorio italiano è a rischio desertificazione. Pochi giorni fa invece ancora la Coldiretti, elaborando dati del National Climatic Data Centre, ha fatto notare come il 2019 si vada a configurare come il secondo anno più caldo della storia. Record che purtroppo non costituiscono una novità: secondo il CNR infatti in Italia il 2018 è stato l’anno più caldo di sempre e del resto dal 1800 dei 30 anni più caldi ben 25 sono successivi al 1990.
Assieme a tutto il Mediterraneo siamo un hotspot climatico e questo come spiega Mauro Centritto, Direttore Dell’IVALSA, Istituto per la Valorizzazione del Legno e delle Specie Arboree del CNR intervenendo su Ecosistema, programma di Earth Day Italia trasmesso da Radio Vaticana Italia, fa della nostra penisola uno dei luoghi dove la temperatura di innalzerà di più. (leggi l’intervista)
“È previsto un aumento medio di temperatura di circa 4.8 gradi con oscillazioni che possono andare da un minimo di 3.2 a un massimo di circa 6.
4.8 gradi in 100 anni è tantissimo e stiamo parlando della media annuale, in estate ovviamente le temperature potrebbero essere molto più elevate; al contempo nello stesso periodo è prevista una riduzione di precipitazioni intorno al 34%.
In questo contesto parlare di recupero delle terre degradate è molto difficile perché se non blocchiamo i cambiamenti climatici, recuperare i territori degradati diventerebbe quasi una fatica di Sisifo.”
Cosa possiamo fare?
Riforestare, ripristinare certamente, ma la sfida più importante da vincere è senza dubbio quella posta dagli Accordi di Parigi per raggiungere i quali, e potrebbe non bastare, tutto il nostro sistema produttivo dovrà cambiare.
Ma ancora prima e con più semplicità si può smettere di degradare suolo, mantenendo l’impegno preso sottoscrivendo l’Agenda 2030 e il particolare il target n°3 dell’Obiettivo di sviluppo sostenibile N° 15 che recita: “Entro il 2030, combattere la desertificazione, ripristinare le terre degradate, comprese quelle colpite da desertificazione, siccità e inondazioni, e battersi per ottenere un mondo privo di degrado del suolo”.
Si tratta, al minimo sindacale, di raggiungere la land degradation neutrality, vale a dire che ad ogni metro quadrato di terra consumata/degradata deve corrisponderne altrettanta di terra recuperata.
In questo senso una legge sul consumo di suolo, di cui si parla da anni, ma che ancora fatica a vedere la luce nonostante diversi disegni di legge siano da tempo all’attenzione delle commissioni parlamentari, aiuterebbe e non poco.
Forse arriveremo a trasformare i deserti in foreste, ma almeno potremo evitare di fare il contrario.
[Foto di copertina di Brigitte Werner da Pixabay]