Nel Paese: in cui i Comuni sciolti per mafia sono giunti al numero di 47; in cui come denuncia il Governatore della Campania De Luca esiste un serio problema di ordine pubblico se il #coronavirus non arretra e se dovesse esplodere al Sud, e ove l’usura rischia di trovare un luogo di grande business nella piaga economica post emergenza epidemiologica, è necessario aprire un filone di discussione utile al Paese.
La salute, non è solo sanità o assenza di malattia, come ci ha ricordato diversi anni or sono l’Organizzazione Mondiale della Sanità, ma è benessere sanitario, sociale, psicologico, economico. All’appello, in una situazione in cui un pandemico tsunami ha colto impreparato il mondo intero, dalle Istituzioni, ai corpi intermedi, ai singoli cittadini, non può mancare un ragionamento serrato su come il coronavirus impatti su chi è già, epidemia a parte, in una condizione di svantaggio e patisce disuguaglianze strutturali.
La salute del sud, o meglio dei sud (al plurale) del Paese, rientra tra queste fattispecie.
Come scriveva qualche anno fa il Professor Gianfranco Viesti, chiamiamo sud tutto ciò che non ci piace del Paese, ma del Paese vive solo sue accentuazioni di vizi, errori e problemi comuni. Quando c’è però da attingere in situazione di emergenza, il primo pensiero va ai fondi strutturali destinati prevalentemente al mezzogiorno, come sta pensando di fare anche il Governo Conte nel Decreto Cura Italia Bis. Risultato: accentuare ancor di più le disuguaglianze, in nome di una coesione sociale e territoriale predicata, ma non praticata. Inaccettabile!
Disuguaglianze economiche, deficit di servizi, pesante presenza della criminalità organizzata, tagli alla sanità continui. Ma che Paese vogliamo? Vogliamo, dopo una guerra e un successivo dopoguerra (che speriamo arrivi presto perché significherebbe almeno la fine della pandemia), imparando appieno la lezione del #coronavirus che ha dimostrato al mondo che l’onnipotenza non può essere degli umani e che è necessario per questi avviare la stagione dei “competenti” e della “competenza”, avviare un percorso di nuova “nazionalizzazione” e “socializzazione” dei problemi? O vogliamo continuare ad andare a più velocità, senza garantirne una unica sul fronte dei diritti dei cittadini, in particolare quelli fondamentali come salute, istruzione, diritto al benessere sociale? Ci vogliamo occupare senza se e senza ma della criminalità organizzata che fa affari in tempi di coronavirus, facendo leva sulla capacità di approvvigionarsi di tutto, meglio dello Stato, facendo leva sulla sua forza coercitiva che cresce in tempi di disagio e paura (come il fenomeno dell’usura insegna)?
Non possiamo curare l’Italia, anzi non possiamo ritenerla malata. L’Italia non è il malato da curare, ma la cura dei nostri problemi, nella misura in cui sceglieremo la via di guardare agli stessi come problemi di tutti. Se non faremo così, finirà il Covid-19, ma tornerà a scatenarsi il virus del cannibalismo sociale, senza comprendere che ciò che oggi è la mia difficoltà domani potrà essere del prossimo, come questi tempi drammatici ci stanno insegnando.
Lo spirito quaresimale ci illumini nel rimuovere il senso di onnipotenza di cui soffre una parte del genere umano nei confronti del mondo producendo palesi disuguaglianze; quel senso di onnipotenza che questi tempi stanno rendendo plasticamente inutile, insensato, inerte. Si faccia tesoro di quella che Don Tonino Bello citando Dietrich Bonhoeffer chiamava la “onnidebolezza della croce, la onnidebolezza di Dio che muore sulla croce”. Portiamoci, con le parole di Don Tonino “una scheggia della croce”, la scheggia di un “apparente fallimento, la disponibilità a perdersi pro mundi vita”, perché, sempre con il teologo luterano “dove c’è la croce la resurrezione è vicina” e questa non può che realizzarsi su questo mondo, creando giustizia e colmando le disuguaglianze che un mondo ingiusto produce per opera di chi lo vive e che, per opera stessa di chi lo vive, può diventare giusto.