La pandemia del Covid -19 ha imposto l’isolamento e il confinamento di Stati e di popolazioni. Le frontiere si sono chiuse. I viaggi sono stati ridotti e controllati. I viaggi per affari e turismo sono crollati, così come è crollata tutta l’industria che li produce e gestisce. Anche i migranti si sono dovuti fermare.
In questa situazione di emergenza, come messo in risalto da più parti, c’è chi perde di più e chi di meno. Le disuguaglianze si acuiscono. I senza casa e i migranti sono tra le categorie sociali più vulnerabili. Perché categorie con meno diritti. Come ci ripete Papa Francesco, sono gli scarti di questa nostra povera umanità. E dovrebbero essere per converso quelli a cui prestare più protezione. Ma non è così.
Ci sono, comunque, migranti che si muovono nonostante il Coronavirus. Perché vivono in situazioni tali che il rischio del virus è quello minore. Sono tutte quelle persone, uomini, donne e bambini, che fuggono da condizioni inumane. Come coloro che ancora cercano di attraversare il Mediterraneo centrale dalla Libia alla Sicilia. I soccorsi sono lasciati alle poche navi delle ONG, gli ultimi baluardi del senso di umanità. L’Europa si è ritirata in casa. L’Italia si dichiara “porto non sicuro” a causa del Covid. Malta chiede che la Libia sia riconosciuta come “porto sicuro”. Nonostante ciò alcune piccole operazioni di salvataggio funzionano. Ma intanto decine e forse centinaia di persone muoiono in mare.
In casa nostra i migranti irregolari sono senza protezione. Braccianti e badanti sono marginali. Continuano ad essere scarti. Oggi più di prima. Tutti, o quasi tutti, si appellano al principio “nessuno deve essere lasciato indietro”. Giustamente si avanzano diverse proposte per assicurare un minimo di sussistenza con il reddito di emergenza e reti di solidarietà. Lo Stato intanto arranca nella burocrazia. Il cosiddetto Terzo Settore (ma ancor più Primo in questo periodo) salva il salvabile, nonostante sia anch’esso colpito dal virus. Diverse associazioni, praticamente da sole, cecano di aiutare immigrati irregolari così come italiani marginali.
Lo Stato scopre che anche il sistema Siproimi, ex Sprar (sistema per l’accoglienza e l’integrazione dei richiedenti asilo), può funzionare da infrastruttura sociale per chi ne ha di bisogno. Non solo per i richiedenti asilo, anche per gli stessi italiani vulnerabili come i senza tetto. Era un sistema che qualche politico fino a pochi mesi fa voleva chiudere o quasi. Oggi diventa un contributo alla protezione di tutti, ma senza supporti sufficienti. Ce ne ricorderemo nei prossimi mesi? Oppure dopo la retorica del “niente sarà come prima”, la scopriremo vuota perché si tornerà all’ipocrita “prima gli italiani”?
Infatti, al di là del bisogno odierno di resistere alla pandemia, si è aperta la fase 2 verso il ritorno alla normalità. Si scrive di “ripresa giusta”. Proprio per ribadire che se non si deve tornare come prima, occorre marcare la ripresa con misure di equità e sostenibilità. E questo riguarda anche il governo delle migrazioni.
Ora sappiamo più di prima che isolati e in autarchia non riusciamo a vivere. L’interdipendenza è reale. I nostri confinati nelle zone rosse hanno subito l’isolamento e hanno chiesto, con cautela, di riaprire le frontiere. Ma con più consapevolezza, più attenzione al fattore umano. Governando meglio le relazioni economiche e sociali.
L’agricoltura si è scoperta dipendente dalla disponibilità di manodopera, dai braccianti, dai migranti. Di qui la pressione delle imprese per assicurarsi il lavoro necessario. Di qui la richiesta di regolarizzazione di cui si parla in questi giorni. Una richiesta strumentale agli interessi del settore agricolo. Legittima ma parziale. La regolarizzazione deve andare di pari passo con il riconoscimento di diritti, alloggio e lavoro dignitoso, protezione dal caporalato e dallo sfruttamento.
Se l’irregolarità è fonte di insicurezza, umana, per chi ne è vittima e per chi ne può venire colpito, essa risulta essere il vero problema a prescindere da interessi di parte. In uno Stato di diritto, l’irregolarità non dovrebbe esistere. La regolarizzazione dovrebbe essere uno strumento continuamente vigente, e non legato ad emergenze e a fini strumentali. Regolarizzazione significa riconoscimento di diritti contro lo sfruttamento e la criminalità.
Con il progetto Volti delle Migrazioni (https://www.focsiv.it/volti-delle-migrazioni/) FOCSIV sta monitorando con i partner, quello che sta accadendo nei diversi paesi europei, in particolare quelli dell’Est. E quello che sta emergendo è che, come prima della pandemia, la questione migratoria è vista o come pericolo o come strumentale all’interesse di alcuni settori economici. Il dibattito politico non si è modificato. La pandemia non viene elaborata. Come al solito ciò che conta è superare l’emergenza. Poi torna tutto come prima.
La Germania ha creato “corridoi verdi” con la Romania per assicurarsi manodopera per la sua agricoltura. Alcuni imprenditori italiani del settore si stanno attrezzando con il Marocco per garantirsi braccianti, pagandone i viaggi e la sicurezza, come da intervista del Presidente di Confagricoltura al Corriere della Sera. Insomma, abbiamo scoperto (ma lo sapevamo tutti già) che i migranti ci “servono”. Ci servono lavoratori ma sono persone con speranze, desideri, diritti. E su questo versante siamo ancora fermi.
La pandemia ci mostra come vi sia bisogno di regole per governare le migrazioni. Ma di regole giuste. Si ribadisce l’importanza di flussi regolari, sicuri e ordinati, come previsto nel Global Compact sulle Migrazioni che il Parlamento italiano non ha voluto ratificare. Con gli insegnamenti della pandemia, se si vuole apprendere qualcosa, ne deriva quindi la necessità che il Parlamento e il governo riprendano in mano il Global Compact, decidendo di aderirvi con convinzione. Senza cooperazione internazionale sulle migrazioni c’è solo insicurezza, in tutti i sensi. Ma deve essere una cooperazione che si fonda su valori umani condivisi. La visione dell’ecologia integrale ci motiva a chiedere di regolare i movimenti umani con protezione, accoglienza e integrazione: i migranti non sono braccia da sfruttare, ma fratelli e sorelle con cui condividere diritti e sviluppo umano sostenibile.