Usciamo da mesi complicati e difficili e non sappiamo che autunno sarà: la paura ci ha segnato, il dolore per tante persone care che non ci sono più è ancora con noi, la normalità non è ancora piena, anche se molti se lo dimenticano.
Eppure, siamo qui, forse diversi, più vulnerabili, in alcuni casi più arrabbiati, ma con una grande occasione tra le mani, l’occasione unica di chiederci cosa ci hanno insegnato questi mesi, chi siamo e come vogliamo vivere. Vogliamo archiviare questo tempo di isolamento e di fatica come un brutto sogno? Vogliamo fare finta che il peggio sia passato? Vogliamo guardare subito avanti come se volessimo dimenticare? Scelte legittime, ma che non servono a niente, se non a renderci superficiali e indifferenti.
Poniamoci invece una domanda: questa tragedia può essere il punto di partenza per diventare migliori? Non abbiamo molta scelta se desideriamo dare un senso a quanto abbiamo vissuto. Sta a noi scegliere. Nessuno può farlo al nostro posto. Competenza e speranza sono le due parole chiave che mi vengono incontro. Toccano da vicino la responsabilità di tutti noi e in particolare di chi amministra la res publica, sia esso un politico o un funzionario, che ricopre incarichi di servizio pubblico o sociale. In questi mesi sono venute a galla tante mancanze. Sono tanti i politici e i funzionari onesti e competenti, che vivono il loro ruolo come un servizio e una vocazione, ma è evidente che questa emergenza ci ha trovato impreparati ad affrontare il virus, soprattutto nelle Rsa e sul territorio. Da tutto questo però possiamo trarre un insegnamento che ci aiuti a rilanciare la politica e la pubblica amministrazione come spazio ideale, come orizzonte di senso, in cui dare ali a progetti di bene, a grandi valori, a speranze vere. Competenza, studio, metodo e formazione permanente devono tornare al centro di tutto. Non ci possiamo improvvisare. A parole tutti vogliono risolvere i problemi. Nei fatti, continuiamo a disperdere sforzi ed energie in sterili polemiche e battibecchi di corto respiro, dispute di potere più che confronto sui contenuti. Sogno una classe dirigente di persone appassionate, a tutti i livelli, pronte a investire le risorse migliori nella ricostruzione, a fare rete con le realtà più autorevoli del Paese, a comunicare entusiasmo e serietà ai giovani. Non parlo da sognatore. La vita degli Arsenali del Sermig è concretissima, mi ha insegnato che è possibile davvero cambiare il nostro modo di pensare, che è possibile credere in una nuova economia, in una nuova politica, in una nuova cultura che rimetta al centro l’uomo, che riparta con il dare priorità alle fasce più deboli. Chi ci impedisce di ripartire da qui? Ripartiamo dai giovani. Trasmettiamo loro la responsabilità di rinnovare dall’interno la società in qualunque ambito scelgano di operare.
Da cristiano in questi mesi ho sentito poi un’urgenza ancora più grande. Ripartire da Dio, perché solo in Lui c’è la speranza che non tramonta. Rimettere Dio al primo posto non equivale ad avere la sicurezza di starsene tranquilli. Anzi. Significa lasciarsi disturbare dall’imprevisto, scegliere di stare con i poveri, oggi sempre più poveri. E riscoprire la vera autorevolezza di chi ha una responsabilità di governo in quella frase di Gesù: “Chi vuol essere grande tra voi si farà vostro servitore, e chi vuol essere il primo tra voi sarà il servo di tutti”.