C’è una sfumatura che mi colpisce dell’ultimo messaggio del Papa per la Giornata mondiale della Pace. È l’immagine della cura. L’idea che un grande obiettivo non si realizzi mai da solo, ma con impegno, con gradualità, con umanità. La pace è così. Ho sempre pensato che non fosse uno slogan da gridare nelle piazze o nei cortei. La pace, come la speranza e l’amore, è un fatto concreto, è una scelta di vita, è l’impegno radicale a lottare contro ogni ingiustizia. La forza di un ideale può essere dirompente, ma dobbiamo avvolgerlo continuamente di pazienza, di delicatezza: abbiamo bisogno di riscoprire ogni giorno le nostre motivazioni, di dire il nostro sì. In questo modo faremo nostri gli orizzonti che indica il Papa, la sua visione che coinvolge tutti gli ambiti della vita, personale e sociale.
Faccio mia soprattutto una sua proposta: “Costituire con i soldi che s’impiegano nelle armi e in altre spese militari un ‘Fondo mondiale’ per poter eliminare definitivamente la fame e contribuire allo sviluppo dei Paesi più poveri”. Sento anche io la stessa urgenza. Sento l’urgenza di non tacere di fronte a migliaia e migliaia di guerre nella storia e a centinaia di milioni di morti. Sembra assurdo: tanti uomini sono pronti a tutto pur imbrogliare, fare soldi, diventare potenti. Sono pronti anche a uccidere. Il mercato delle armi lo dimostra. La storia ci dice che le guerre sono state e continuano ad essere strumento per risolvere controversie varie. Ma se le armi non fossero costruite, il problema nemmeno si porrebbe.
Sì, le armi devono essere cancellate dalla faccia della Terra perché uccidono e lo fanno cinque volte.
Uccidono perché tolgono risorse vitali e miliardi di dollari dalla sanità, dalla scuola, dallo sviluppo.
Uccidono le intelligenze di tanti giovani che progettano ordigni sempre più sofisticati invece di impegnarsi in altri ambiti.
Uccidono concretamente quando vengono usate.
Uccidono perché preparano la vendetta.
Uccidono segnando per sempre i reduci.
Credo che le tragedie della storia e la complessità geopolitica del mondo di oggi ci dicano che non è più tempo di aspettare. L’umanità può rinascere! Ognuno di noi può farlo, vivendo – se è credente – la santità come forma più alta del proprio essere al mondo. Da non credente, l’impegno continuo a cambiare, a convertirsi per convertire il corso negativo della storia. Tutto il resto non conta.
Oggi è tempo di pace, tempo di perdono, tempo di incontro, tempo di credere che possiamo essere davvero custodi gli uni degli altri. Con il contributo di tutti, l’umanità può diventare come una famiglia, in cui ogni differenza, ogni colore, ogni cultura siano semplicemente le sfumature della fantasia di Dio. Solo così le diversità non ci renderanno nemici gli uni degli altri, ma saranno terreno per conoscerci, crescere, imparare a mettersi nei panni degli altri, soprattutto di chi è più in difficoltà.
Non è retorica! Una famiglia non giudica, una famiglia accoglie, una famiglia sostiene e cura chi fa più fatica, una famiglia si toglie il pane di bocca se un suo componente è in pericolo.
Un’umanità così farebbe di tutto per sconfiggere la fame, per portare cure ed educazione ovunque, per garantire un lavoro degno, per fasciare ogni forma di solitudine.
Un’umanità così darebbe fondo ad ogni risorsa per inventarsi soluzioni umane e tecniche per dare risposte anche ai problemi più complessi.
Un’umanità così non lascerebbe nessuno indietro, soprattutto i più piccoli e i più fragili. Un’umanità così si farebbe carico anche di chi ha sbagliato, risvegliando la speranza.
Un’umanità così sarebbe l’artefice di una vera rivoluzione, di una primavera di pace e di riconciliazione. Sarebbe protagonista di un nuovo inizio.
Se provassimo a smettere di vivere alla giornata, mettendo il futuro al centro dei nostri pensieri, la fame sparirebbe, le morti innocenti non ci sarebbero più, le parole “nemico”, “vendetta”, “odio” non farebbero più parte del nostro vocabolario.
Io nonostante tutto, continuo a crederci.