Nella maggior parte dei paesi, la disuguaglianza fondiaria, e cioè il diseguale accesso alla proprietà terriera, sta crescendo[1]. Questa tendenza minaccia direttamente i mezzi di sostentamento di circa 2,5 miliardi di persone in tutto il mondo coinvolte nella piccola agricoltura, ed è frutto in buona parte dell’accaparramento della terra da parte di Stati e grandi multinazionali.
L’ineguaglianza fondiaria coinvolge soprattutto le popolazioni rurali. I piccoli proprietari e le aziende agricole a conduzione familiare, le popolazioni indigene, le donne, i giovani e le comunità rurali vengono marginalizzati in appezzamenti di terreno più piccoli, o sono costretti ad abbandonare del tutto la terra, mentre sempre più terra si concentra in poche mani, servendo principalmente gli interessi dell’agrobusiness, delle élite locali e di investitori lontani, utilizzando modelli industriali di produzione che impiegano sempre meno persone e che riducono la biodiversità dell’ambiente.
La misurazione tradizionale della disuguaglianza fondiaria con il coefficiente di Gini sulla distribuzione della terra, basato su indagini familiari che registrano la proprietà e l’area delle aziende agricole per dimensione, fornisce un’utile prospettiva a lungo termine del fenomeno nei vari paesi del mondo. Tuttavia, dipinge un quadro parziale che non tiene conto della natura multidimensionale della terra (proprietà, qualità, beni comuni e produzioni), né riflette le proprietà terriere multiple o comuni, e il controllo effettivo sulla terra, né include i senza terra. Nel quadro della Land Inequality Initiative, i dati tradizionali sono stati integrati da metodologie innovative, e raccolti su un campione di 17 paesi. I risultati indicano che la disuguaglianza fondiaria è ben peggiore di quanto si pensasse in precedenza.
Anche se i modelli variano significativamente da regione a regione, dal 1980 in tutte le regioni la concentrazione di terra è aumentata significativamente (Nord America, Europa, Asia e Pacifico) o si è invertita una tendenza alla diminuzione (Africa e America Latina).
Prendendo in considerazione la proprietà multipla degli appezzamenti, il valore della terra e la popolazione senza terra, la ricerca condotta conclude che la disuguaglianza fondiaria è stata finora significativamente sottostimata. Complessivamente, la ricerca ha rivelato che il 10% più ricco della popolazione rurale in tutti i paesi coinvolti nella ricerca possiede il 60% del valore dei terreni agricoli, mentre il 50% più povero della popolazione rurale, che è generalmente più dipendente dall’agricoltura, ha solo il 3% del valore della terra. Si registra un aumento della disuguaglianza sulle terre rurali del 41%, se si tiene conto del valore della terra agricola e della mancanza di terra, e un aumento del 24% se si considera solo il valore. Circa l’84% delle aziende agricole nel mondo sono più piccole di due ettari, ma gestiscono solo il 12% dei terreni agricoli.
Al di là dei suoi effetti diretti sulla piccola agricoltura, la disuguaglianza fondiaria mina la stabilità e lo sviluppo di società sostenibili, con effetti sistemici su tutti i gruppi sociali. La disuguaglianza fondiaria è interconnessa a molte altre forme di diseguaglianza relative alla ricchezza, al potere politico, al genere e all’età, alla possibilità di accedere ad un ambiente salubre, ed è strettamente legata alle crisi globali contemporanee di declino democratico, cambiamento climatico, insicurezza sanitaria globale e pandemie, migrazioni di massa, disoccupazione e ingiustizia intergenerazionale.
La terra dovrebbe essere un bene comune, e come tale riconosciuto e tutelato: fornisce acqua, cibo e altre risorse naturali che sostengono e permettono ogni forma di vita. È origine della biodiversità e fornisce indispensabili mezzi di sussistenza. È un bene non rinnovabile e inestricabilmente connesso alle persone e alle società che sulla terra vivono e si sviluppano. Il modo in cui gestiamo e controlliamo la terra ha plasmato le nostre economie, strutture politiche, comunità, culture e credenze per migliaia di anni.
Nonostante tutto ciò, e nonostante il riconoscimento globale dell’importanza fondamentale di garantire e tutelare diritti fondiari sicuri ed equi, così come espresso negli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDGs)[2] e nelle Linee Guida Volontarie sulla Governance Responsabile dei regimi di proprietà della terra, della pesca e delle foreste (VGGTs)[3], le disuguaglianze sono in aumento, mentre l’impatto dell’insostenibilità dei sistemi di proprietà, produttivi, di consumo, delle società più ricche ed emergenti, pesa sulle categorie più vulnerabili, a livello globale e locale.
Di fronte a questo quadro è necessario un forte impegno di cambiamento con diverse azioni. I soli sforzi di ridistribuzione della terra non riescono a garantire mezzi di sussistenza sostenibili, né prosperità, alla maggior parte della popolazione rurale. Sono dunque necessarie una serie di misure, tra cui riforme normative, tassazione e regole per la responsabilità sociale ed ambientale delle aziende, non solo in relazione alla terra ma in tutto il settore e la filiera agroalimentare, dagli input di produzione alla vendita al dettaglio. Tali interventi comportano la correzione degli squilibri di potere, sostenendo e promuovendo allo stesso tempo relazioni più eque tra le persone e la terra, nella direzione di una rivoluzione ecologica integrale.
Le riforme agrarie di ridistribuzione della terra, per essere efficaci, e per prevenire un ritorno alla disuguaglianza fondiaria nel tempo, devono essere basate su obiettivi politici a lungo termine che siano allineati con la traiettoria socioeconomica generale di un paese, abbracciando un cambiamento strutturale su vasta scala.
Le tasse possono essere uno strumento progressivo per affrontare la disuguaglianza fondiaria. Usate efficacemente, possono scoraggiare l’accumulo di terra in poche mani, ridurre la speculazione e limitare la trasmissione intergenerazionale della disuguaglianza. Forniscono una fonte prevedibile di entrate, da utilizzare ad esempio per investimenti in infrastrutture e servizi pubblici.
È improbabile che il rafforzamento della responsabilità delle imprese e degli investitori in relazione alla terra avvenga senza la previsione di un elemento impositivo. Mentre aspirazioni positive sono stabilite in meccanismi come i Principi Guida delle Nazioni Unite su imprese e diritti umani e nelle Linee Guida dell’OCSE per le imprese multinazionali, il cambiamento avverrà solo con l’introduzione di norme obbligatorie e di reporting per essere in linea con gli standard sociali ed ambientali. Servono leggi nazionali più forti e quadri politici internazionali vincolanti che impongano agli investitori di seguire i più alti standard di dovuta diligenza, di protezione dei diritti umani e dell’ambiente. E serve sostenere un monitoraggio più indipendente, in questo valorizzando il ruolo delle organizzazioni della società civile, delle aziende e degli investitori che operano nell’agricoltura e nelle attività legate alla terra, così come sul controllo della produzione.
Qualsiasi soluzione rivolta alla disuguaglianza fondiaria deve affrontare la disuguaglianza orizzontale, che colpisce in particolare le donne e i gruppi (comunità locali, popoli indigeni) che detengono diritti fondiari collettivi. Diritti collettivi sicuri proteggono il benessere, i mezzi di sostentamento e la capacità di conservare la terra da parte delle popolazioni indigene e delle comunità locali, e rafforzano il ruolo centrale che queste popolazioni svolgono in relazione al cambiamento climatico, alla gestione della biodiversità globale, alla conservazione bio-culturale e alla giustizia, compresa la giustizia territoriale e di genere. È di vitale importanza chiedere il rispetto del consenso libero, preventivo e informato delle comunità[4]. Garantire i diritti alla terra delle donne è importante, anche per le terre detenute in comune, visto il loro ruolo nella produzione agricola. Raggiungere l’uguaglianza di genere nei diritti fondiari richiede una complessa combinazione di azioni, tra cui riforme giuridiche e adattamento delle norme e dei costumi sociali.
Il cambiamento è difficile, ma non impossibile. I movimenti dei contadini, dei popoli indigeni, e le azioni collettive stanno lottando contro la disuguaglianza fondiaria, l’accaparramento della terra, cercando di rendere i modelli di produzione e le catene del valore più giusti e più inclusivi. Anche i movimenti agroecologici sono cresciuti in modo significativo, per difendere i diritti alla terra degli agricoltori familiari e per promuovere pratiche diverse di gestione e utilizzo della terra basate sui principi dell’agroecologia[5]. La strada c’è ed è da percorrere tutti assieme per la cura della casa comune.
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[1] L’articolo si basa sul Rapporto pubblicato nel 2020 dalla International Land Coalition, 2020, “Uneven ground: Land inequality at the heart of unequal society”. Per il Rapporto integrale si veda: https://d3o3cb4w253x5q.cloudfront.net/media/documents/2020_11_land_inequality_synthesis_report_uneven_ground_final_en_spread_low_res_2.pdf. L’articolo è una anticipazione del Rapporto FOCSIV 2021 sui Padroni della Terra.
[2] Per approfondimenti sull’Agenda si veda: https://unric.org/it/agenda-2030/
[3] Le Linee Guida sono state ufficialmente approvate dalla Commissione per la Sicurezza Alimentare mondiale (CFS) nel 2012. Il CFS si riunisce nella sede FAO ed è il principale Forum delle Nazioni Unite sulle politiche in materia di sicurezza alimentare. Per la versione integrale del documento si veda: http://www.fao.org/3/i2801e/i2801e.pdf
[4] Si veda: https://www.un.org/esa/socdev/unpfii/documents/DRIPS_it.pdf
[5] Su agroecologia e landgrabbing si veda: https://www.focsiv.it/landgrabbing-e-agroecologia/. Per un approfondimento su finanza e agroecologia si veda il documento CIDSE/FOCSIV: https://www.focsiv.it/wp-content/uploads/2021/02/brief-paper-cidse-focsiv-finanza-per-lagroecologia.pdf