Da ogni accidente della storia l’umanità si rialza. Anche questa pandemia ci obbligherà ad assumere nuovi paradigmi culturali e, si spera, economici e politici, per ridisegnare comportamenti e risposte a nuovi bisogni che si sono fatti più impellenti, anche a seguito di una crisi che da sanitaria si è fatta troppo velocemente sociale . Da come risponderemo alla nuova sfida del lavoro e delle sue trasformazioni, da come affronteremo la questione insopportabile della crescita di nuovi poveri, dipenderà la qualità della nostra convivenza e della nostra democrazia. A bocce ferme sembra aver fallito un’idea di sanità fondata sull’ospedale e, a sentire gli esperti della materia, negli anni a venire, la medicina di territorio, spesse volte posta sotto accusa in questo anno horribilis, dovrà essere riorganizzata nel senso di una più efficace capacità di divenire il primo presidio della cura sanitaria dei cittadini. Mentre l’architettura del welfare che verrà prende lentamente forma, anche grazie alle ingenti risorse del Pnrr, restano aperti alcuni interrogativi ai quali, per evitare una falsa partenza, è urgente dare una risposta. Il primo è sicuramente di metodo e di strategia. Si andrà sempre più verso una complementarietà tra politiche sociali e politiche sanitarie o, come si è proceduto fin’ora, i due pilastri del sistema di benessere pubblico si sfioreranno appena? Crediamo che se è vero che ogni sistema di welfare deve tener conto di fattori che migliorino complessivamente la qualità della vita delle persone, è giunto il momento di immaginare il socio-sanitario come ambito di comunità. In un Paese che sarà abitato sempre più da anziani e meno da bambini, la crescita inevitabile dei costi dello Stato ci obbligherà, a meno di voler mettere in dubbio il sacrosanto principio universalistico dei diritti, a una revisione della spesa pubblica. Per evidenti motivi, non solo di natura ragioneristica, nella nostra visione di welfare del futuro, sia l’invecchiamento che la crescita dovranno essere accompagnati da un processo di presa in cura, che trovi, sul territorio, risposte in un nuovo sistema di infrastrutturazione sociale, nelle Case della comunità e della salute e, quando necessario, negli ospedali. Spesso si muore più di abbandono che di malattia e la stessa medicina sovente diventa il rimedio estremo a un male che si è nutrito di solitudine. Va sicuramente nella giusta direzione la scelta del governo di avviare, attraverso il Pnrr, il processo di riforma della non autosufficienza. Per troppo tempo si è indugiato con misure che hanno agito più sull’emergenza del momento che sul riordino complessivo della materia. Una volta indicata la strada, si tratterà ora di capire quante risorse nel tempo si vorranno investire. Nella prospettiva del welfare che verrà, occorrerà al più presto avviare un percorso di riforme strutturali. Da una parte necessarie e dall’altra imposte dalla situazione. Potessimo descrivere un orizzonte di senso entro cui realizzarle, per colmare differenze che creano pesanti disuguaglianze, prendendo in prestito un temine dal linguaggio digitale, le ancoreremmo al principio delle 4G. Un welfare che consideri come priorità i Giovani, che agisca sulle differenze di Genere, che sia Generativo e che riduca le distanze Geografiche. Affinché le riforme già avviate trovino sostegni legislativi, portare a compimento normativo i Lep vorrebbe dire compiere un decisivo passo avanti. Verrebbe da aggiungere solo: se non ora quando. Nuove regole per un nuovo welfare, scritto a più mani, sono forse oggi alla nostra portata.
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Si segnala che l’articolo è stato pubblicato nel quotidiano Avvenire.