La metafora della forbice la trovo “tagliente” ed efficace. Già negli anni ’80, tra i banchi dello studio teologico che frequentavo, studiando e commentando la dottrina sociale elaborata da Papa Wojtyla, la forbice ritornava come un refrain per evocare ingiustizia sociale, separazione, distanza (allora) tra Nord e Sud della terra, tensioni, discordia. Una forbice, maneggiata dall’arroganza e dall’istinto di predazione, che lacerava e lacera il tessuto umano facendolo sanguinare. Nel contempo una forbice da “chiudere”, come recita intelligentemente e responsabilmente lo slogan dell’alleanza “Chiudiamo la forbice”. Il patto nasce per segnalare le separazioni e le polarizzazioni esistenti, per studiarne i meccanismi e proporne delle prospettive di superamento.
Poco prima della crisi finanziaria ed etica del 2008 partecipai ad un viaggio missionario in Africa. La guida, un missionario di lungo corso, ci invitò a scrutare la distesa notturna della savana. Dal nostro punto di osservazione si presentava come una sorta di vasta conca che si separava dal monte Kenya. Ci colpirono alcune “inspiegabili” lame di luce poste in modo irregolare a fendere il buio sul terreno. Scoprimmo il giorno seguente essere delle serre di proprietà di grosse multinazionali – illuminate a giorno ed innaffiate da acqua potabile – per la coltivazione delle rose e dei fagiolini destinati ad arrivare sulle tavole europee. Accanto, villaggi di migliaia di lavoratori pagati 2 dollari al giorno, senza luce elettrica e privi di acqua. Un presagio, o – meglio – un segnale di una triste e lunga catena di storie non raccontate di sfruttamento e di iniquità. Esse arrivano dal passato, ed ora vengono riedite nella versione di esodi migratori, privazione del cibo necessario, concentrazione colossale di potere economico nelle mani di pochissimi super ricchi (vedi le analisi autorevoli di Oxfam), polarizzazioni culturali… guerra e guerre, una guerra – folle e feroce – di aggressione all’Ucraina.
Appoggiandoci all’intelligenza teologica del Vangelo di Giovanni, potremo dire che Dio ha tanto amato il mondo da immergervi il Figlio (cfr. Gv 3,16). Un battesimo nelle aspirazioni e nelle speranze, come pure nelle contraddizioni e lotte crudeli dell’umanità sino al punto di consentire alle misteriose forbici del male di “lacerarlo”. Uno squarcio generativo, infatti “dalle sue piaghe siamo stati guariti” (cfr. 1Pt 2,24). Perché non contemplare con ammirazione la solidarietà larga per i profughi, l’intercessione di tanti piccoli, i primi tentativi di immaginare un nuovo ordine mondiale fondato sui beni comuni e sul bene comune come le cicatrici di una guarigione, in parte accaduta? Sono tutte tracce, umili e povere eppure veraci, dell’azione del Figlio. Egli non si è fermato di fronte al muro dell’ostilità e del rifiuto, anzi ha reso la sua faccia dura come pietra (cfr. Is 50,7) per demolire ogni muro di inimicizia, per ricostruire una fraternità infranta e riconciliarci con il Padre (cfr. Ef 2,14.16). Il gemito della terra e il pianto degli umani non sfugge alle orecchie del cuore materno e paterno di Dio.
Il Signore Gesù, morto e risorto, è simile ad una pianta recisa e rifiorita. Una pianta misteriosa che affonda e allunga le sue radici per trasformare ogni scenario desolato e funereo in un’oasi di speranza. «Egli è venuto ad annunciare pace a voi che eravate lontani, e pace a coloro che erano vicini» (Ef 2,17). Buona Pasqua!