La lettera di don Alberto Reani, fidei donum in Brasile, che pubblichiamo di seguito, ci è arrivata martedì 3 gennaio, subito dopo l’investitura di Lula a presidente del Brasile il 1° gennaio e prima dell’attacco ai palazzi del potere in Brasilia, domenica 8 gennaio, da parte di una frangia dell’elettorato del presidente uscente, Jair Bolsonaro: un gruppo consistente (circa 1.500 persone) che era accampato da un paio di mesi a Brasilia di fronte alla caserma generale dell’esercito. Dopo il riconoscimento dell’elezione presidenziale di Lula da parte della Giustizia Elettorale con il 52% dei voti, in tutto il Brasile la frangia più radicale dei sostenitori di Bolsonaro si è accampata di fronte alle caserme dell’esercito un po’ in tutto il paese chiedendo l’intervento dell’esercito per destituire il presidente eletto. Chiedevano un colpo di stato! L’assalto ai palazzi dei tre poteri (del Presidente, del Parlamento e del Supremo Tribunale Federale) è stata un’azione dimostrativa mirante a dare un segno chiaro di disturbo del nuovo corso della storia brasiliana, disturbo che può riemergere in qualunque momento e in qualunque situazione soprattutto di difficoltà. È palese il fatto che il Brasile vive una polarizzazione politica viscerale e irrazionale che ha portato e può ancora portare a reazioni violente da parte di questi gruppi. Quello che colpisce, dei fatti accaduti in Brasile, è l’incapacità di accettare il gioco della democrazia che ha portato a offendere gravemente le istituzioni simbolo della democrazia e del vivere civile. Quando l’unica unità di misura della realtà diventa il mio pensiero, le mie convinzioni, la mia religione, la mia cultura, i miei interessi, allora il ‘noi’ scompare e rimane solo l’‘io’: conseguenza logica è la soppressione del ‘tu’, di ogni altro che non la pensa come me, in maniera irrazionale e illogica. Questo porta all’incapacità di ragionare, di ascoltare il diverso, di capire le ragioni dell’altro e ad agire in maniera vessatoria, con la sopraffazione. L’esperienza missionaria, con l’incontro con altre culture e etnie, rende spontaneo l’ascolto, l’incontro, il dialogo.
Don Dario Vaona
vicedirettore Centro Missionario Diocesano di Verona
È finito l’incubo (?)
Carissimi, dopo molta tensione, il 1°gennaio 2023 il nuovo presidente della Repubblica del Brasile ha assunto il suo mandato, anche se il suo predecessore uscente aveva promesso che non avrebbe salito la rampa del palazzo presidenziale con lui per il passaggio di consegne. I mesi di novembre e dicembre sono stati segnati da manifestazioni di chi non accetta l’esito delle elezioni di ottobre che hanno dato la vittoria a Lula. Accampati davanti alle caserme, chiedevano intervento dei militari come all’epoca della dittatura (1964-1988). Addirittura si è assistito ad un episodio che fu inquadrato come terrorismo: una bomba innescata in un’autobotte di benzina.
È stato un periodo di incertezza, visto che i militari non hanno preso posizione contro questo movimento. Solo la Giustizia Federale e la Giustizia Elettorale hanno reagito, dichiarando valide le elezioni e indagando quanti stavano dietro questo tipo di manifestazioni giudicate antidemocratiche e contrarie ai principi della costituzione brasiliana.
E qual è stato l’atteggiamento di Bolsonaro? Mandava messaggi incentivando le manifestazioni e dimostrando solidarietà ai manifestanti che, in forma pacifica o in forma violenta, dimostravano la loro “libertà di pensiero”. L’incubo Bolsonaro è terminato? Credo di no! Bolsonaro è una persona, ma il suo modo di pensare è presente negli atteggiamenti e nel pensiero di molti, sostenuti dalla logica economica che domina la nostra società occidentale fondata sul liberalismo. Peccato che, dopo la Rivoluzione Francese, sia rimasta solo una delle tre parole chiave che hanno guidato il “tempo dei lumi”: libertà, uguaglianza e fraternità.
Molti si chiedevano chi avrebbe ripassato la fascia presidenziale a Lula, un rito significativo di continuità dell’esercizio di condurre una nazione. Ma era chiaro che non sarebbe stato in continuità, visto che molti si sono uniti per difendere la democrazia e la costituzione minacciate dagli atteggiamenti e decisioni del Governo Bolsonaro che favoriva la privatizzazione, perdonava i debiti dei ricchi, creava leggi per favorire lo sfruttamento delle terre in favore dell’agroindustria e dell’estrazione delle miniere, liberalizzava il commercio di armi pesanti, indeboliva i controlli fiscali, riduceva il personale contro gli incendi in Amazzonia e della Polizia Federale anticrimine, permetteva l’autodichiarazione del catasto di proprietà…
La notizia che sorprese molti fu sapere che il 30 dicembre Bolsonaro aveva lasciato il paese, destinazione Stati Uniti. Altro motivo di preoccupazione è stato il discorso del Generale Mourão, presidente in carica (è il vice che assume le veci in assenza del Presidente), che il 31 dicembre disse, parlando della squadra di governo di Lula che l’indomani prendeva le redini del potere: «Desidero richiamarli a lottare per la preservazione della democrazia, dei nostri valori, dello Stato di Diritto e per la consolidazione di un’economia liberale, forte, autonoma e pragmatica che negli ultimi tempi è stata tanto diffamata e sabotata da rappresentanti dei Tre Poteri della Repubblica, poco identificati con la sfida della promozione del bene comune. […] Ritorniamo alla normalità di vita, alle nostre occupazioni e alla ristrutturazione delle nostre famiglie, con fede e con la certezza che i nostri rappresentanti eletti faranno dura opposizione al progetto progressista del governo di turno, senza però promuovere opposizione al Brasile. Staremo attenti.»
Queste parole devono essere contestualizzate con il risultato delle elezioni che hanno visto quasi il 50% dei voti al partito di Bolsonaro. Oltre che ad un Brasile demolito dal punto di vista economico (spese enormi fatte da Bolsonaro creando debiti miliardari), sociale (Brasile diviso in bolsonaristi e non-bolsonaristi), legislativo (leggi dichiaratamente contro gli interessi della maggioranza povera per favorire la minoranza ricca), Lula dovrà fare i conti con un’opposizione alla Camera e al Senato di circa il 50% dei parlamentari.
Fu una sorpresa meravigliosa e significativa vedere Lula domenica 1 gennaio salire la rampa del Palazzo del Governo accompagnato da sette persone: un bambino afrodiscendente, un vecchio indio, un operaio metallurgico in pensione, un giovane disabile, una donna delle cucine, una giovane raccoglitrice di rifiuti e un giovane professore. Il popolo brasiliano rappresentato dai sette ha consegnato la fascia presidenziale. Di nuovo il popolo brasiliano riprende in mano la democrazia. Finalmente la democrazia è vittoria popolare, supremazia di popolo, valorizzazione delle diversità, “presidente cuidando”, ovvero che si preoccupa, che si occupa, che ha cura della sua gente. La canzone di Guilherme Arantes, Domani sarà un giorno bellissimo, ha accompagnato la salita della rampa del palazzo presidenziale, ricordando il tempo in cui la dittatura fu definitivamente sconfitta.
Il discorso commovente di Lula ha evidenziato la realtà del paese, già le prime decisioni sono importanti: revocare la legge sugli armamenti, mantenere gli aiuti alle famiglie povere, non aumentare il prezzo della benzina. In attesa di nuove decisioni dei diversi ministeri istituiti, viviamo nella speranza, preoccupati di aver cura delle sementi di pace, democrazia, partecipazione che oggi sono state piantate e che domani daranno i loro frutti. Come ha detto Lula nel suo discorso: “Ieri dicevamo: dittatura mai più! Oggi diciamo: democrazia sempre!”
Don Alberto Reani
Fidei donum in Brasile