Come ogni anno dal 1990, l’8 aprile ricorre la Giornata internazionale dei Rom e dei Sinti, istituita in ricordo del primo Congresso internazionale delle comunità romanes, tenutosi nei pressi di Londra l’8 aprile 1971 e da cui nacque la Romani Union, associazione internazionale per la promozione dei diritti delle persone Rom riconosciuta dall’ONU nel 1979.
Purtroppo, a più di cinquant’anni da quella storica giornata, discriminazione, esclusione, razzismo e odio nei confronti delle persone Rom sono elementi ancora largamente diffusi nella nostra società. Per rendersi conto delle profonde disuguaglianze e della costante emarginazione sociale, culturale ed economica in cui le comunità romanes sono costrette a vivere, basta leggere i dati raccolti nel recente Rapporto sui Rom in Europa dell’Agenzia UE per i diritti fondamentali.
Eppure la presenza del popolo Rom in Europa ed in Italia ha una storia antichissima, anche se spesso sconosciuta. Infatti, delle circa 180.000 persone che il popolo Rom conta attualmente in Italia, almeno 100 mila sono di antico insediamento, cioè appartenenti a comunità che si trovano sul suolo italiano già dal XV secolo. Cittadini italiani a tutti gli effetti, quindi. Le restanti 80.000 persone sono arrivate in Italia attraverso vari flussi migratori, a partire dall’intervallo tra le due guerre mondiali, e provengono prevalentemente da Paesi dell’Est Europa. Una piccola parte di questi cittadini risiede ancora nei campi sosta (intorno alle 12.000 – 15.000 unità in totale), e soltanto 9.000 persone sono irregolarmente soggiornanti, perlopiù a causa di percorsi di regolarizzazione che, per una serie complessa di fattori, risultano molto spesso ardui, se non impossibili.
Questi dati ci parlano di un popolo, quello Rom, che rappresenta formalmente circa lo 0,3% dell’intera popolazione italiana, dunque un’esigua minoranza ma la cui percezione viene spesso distorta e strumentalmente amplificata, tanto da essere vissuta dall’opinione pubblica quasi come fosse una periodica emergenza umanitaria. Secondo una ricerca del 2019 del Pew Research Center, la popolazione romaní è fra le minoranze etniche più odiate e discriminate in Europa. L’Italia è il Paese europeo in cui questa avversione raggiunge il picco: addirittura l’83% della popolazione nutre sentimenti negativi nei confronti dei Rom. L’odio e la discriminazione di cui è vittima il popolo Rom si intrecciano con atavici pregiudizi e disuguaglianze strutturali, ostacolando e rendendo difficile ogni sforzo di inclusione e integrazione.
La complessità storica, sociale e identitaria del popolo Rom si riflette nel suo essere frammentato in una miriade di comunità e gruppi, ciascuno con tradizioni, abitudini e credenze a volte anche molto diverse fra loro. Un universo articolato che in Italia possiamo raggruppare in 5 grandi comunità: Rom balcanici, rumeni e italiani; Sinti; Kale; Manouches; Romanichals.
E’ proprio l’esperienza della discriminazione il tratto che accomuna ogni singolo appartenente a questo popolo, al di là della provenienza e del grado di inclusione sociale, con la conseguente necessità di nascondere la propria origine etnica alla società ‘maggioritaria’. Ogni singolo cittadino di etnia Rom può testimoniare quanto il suo percorso di vita sia stato difficile, aspro e costellato di umiliazioni e diritti negati, al di là di titoli, competenze ed estrazione sociale. Il pregiudizio è un peso che incombe costantemente sulla vita di ogni persona di etnia Rom. L’immagine del Rom degradato e segregato in una baracca fetida è uno stereotipo onnipresente, una generalizzazione fin troppo facile, che rimane indelebile pur non essendo in alcun modo corrispondente alla realtà dei fatti. Solo guardando al mondo del lavoro, ad esempio, possiamo incontrare persone Rom che svolgono la professione di medici, avvocati, docenti universitari, insegnanti, educatori, musicisti ma anche tecnici, manutentori, operai, artigiani… in numeri anche consistenti.
Seppur basati su realtà fuorvianti e infondate, i pregiudizi che colpiscono le persone di etnia Rom si abbinano a pesanti discriminazioni, disuguaglianze e violazioni di diritti fondamentali. Chi è Rom, per esempio, difficilmente può accedere ad un contratto di locazione o acquistare una casa pur avendo mezzi e requisiti per farlo, se dichiara apertamente la propria origine etnica. Chi è Rom e vuole entrare nel mondo del lavoro (calciatori a parte…) deve lottare duramente ed è spesso vittima di soprusi e umiliazioni in ragione della sua etnia. Per non parlare delle discriminazioni subìte quando si tratta di esercitare il proprio diritto alla salute o all’istruzione. Ogni Rom che vive in Italia deve necessariamente fare i conti con questi elementi che possono limitare gravemente l’intero percorso di vita, rendendolo ostaggio dello stereotipo del ‘Rom nella baracca’.
Se poi si è donne (Romnja in lingua romanes) allora la faccenda si complica ulteriormente. Ci si trova davanti a una doppia forma di discriminazione ed esclusione sociale: in quanto donna e in quanto Rom. Il contesto sociale di appartenenza e le dinamiche familiari che la donna Rom vive fin dalla nascita e influiscono fortemente sulle sue condizioni di vita sono elementi pressoché sconosciuti per la società ‘maggioritaria’, e perciò vengono spesso interpretati in maniera distorta con credenze e stereotipi che non fanno che aggravare l’esclusione sociale. Ciò è causato anche dagli stessi filtri posti a protezione della cultura Rom per un’atavica diffidenza nei confronti di chi è esterno alla comunità. Ad esempio, per preservare la cultura romaní in generale ed anche l’onore e la rispettabilità della persona Rom che si relaziona con l’esterno, esistono regole precise che devono necessariamente essere rispettate da chi interagisce con la società ‘maggioritaria’. La difficoltà di interpretare e comprendere il complesso intreccio dei fattori sociali e culturali che determinano le condizioni di vita della donna Rom diviene così non solo un elemento di rafforzamento di stigma e pregiudizi, ma anche un ostacolo per poter intervenire in supporto delle donne Rom che si trovano in situazioni difficili e poco dignitose.
Per superare queste barriere, contrastare i pregiudizi e favorire l’incontro, la comprensione e la conoscenza reciproca è necessario investire innanzitutto nella mediazione culturale.
La mancanza di mediatori culturali Rom ci impedisce di stabilire relazioni trasparenti e costruttive con questo popolo, portandoci a travisare le nostre esperienze e ad avere una visione distorta della reale situazione. Gli effetti di questa carenza sono evidenti soprattutto nella relazione con le istituzioni e nei contesti socio-educativi. Quando un Rom si rivolge alle istituzioni per cercare aiuto e sostegno spesso non trova il giusto ascolto, laddove ‘ascoltare’ una persona Rom significa farla sentire in primo luogo accolta e poi accettata, nonché comprendere anche quello che non può dire per le norme morali della sua comunità. Ancora oggi pochissimi educatori, insegnanti, operatori sociali conoscono gli strumenti comunicativi, tra cui le espressioni non verbali, più adatti per relazionarsi efficacemente con un Rom e capaci di suscitare rispetto e fiducia reciproci. Per ricostruire e rigenerare queste relazioni è dunque imprescindibile l’opera dei mediatori culturali, in particolare attraverso i filtri della lingua e della comunicazione non verbale, e il contributo che può dare a percorsi di inclusione efficaci e soprattutto condivisi.
A livello istituzionale, un supporto concreto in questa direzione potrebbe venire dalla Strategia Nazionale di uguaglianza, inclusione e partecipazione di Rom e Sinti 2021-2030, e in particolare dalla partecipazione attiva nella sua attuazione da parte della società romaní, in quanto vero soggetto protagonista della propria inclusione a tutti i livelli. La Strategia Nazionale, adottata nel 2022 come evoluzione di quella 2012-2020 e che avrà valenza per il decennio in corso fino al 2030, è stata elaborata dall’UNAR (Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali del Dipartimento per le Pari Opportunità) in collaborazione con tutte le associazioni Rom e pro-Rom italiane accreditate presso la Piattaforma Nazionale RSC (Rom, Sinti e Camminanti) del suddetto Ufficio.
Con essa l’Italia si è dotata formalmente dello strumento con cui attuare la Raccomandazione del Consiglio dell’Unione Europea del 12 marzo 2021 sull’uguaglianza, l’inclusione e la partecipazione dei Rom. L’UE con questa Raccomandazione ha voluto dare nuovo slancio agli Stati membri, chiedendo un impegno di medio-lungo termine su tutti i fronti con la speranza di poter superare definitivamente l’ottica emergenziale con cui il problema è stato affrontato finora, soprattutto in Paesi come l’Italia in cui l’inclusione del popolo Rom risulta più difficoltosa e le violazioni dei diritti dei Rom e i discorsi di odio sono diffusi a tutti i livelli.
Nella nuova Strategia vengono mantenuti i 4 pilastri per l’inclusione già presenti nella precedente: scuola, lavoro, salute e abitazione, e vengono introdotti alcuni elementi di novità, tra cui
una forte spinta per contrastare la nuova ondata di antiziganismo (pregiudizio e avversione contro il popolo Rom che invadono molti Stati Europei e l’Italia in particolare) e la promozione della storia, cultura e arte romaní.
Pur non avendo valore normativo, la Strategia può costituire un utile strumento e punto di riferimento, purché si traduca in atti concreti e politiche coerenti a tutti i livelli per l’inclusione efficace e partecipativa del popolo Rom.
Oggi più che mai è necessario investire adeguatamente – senz’altro molto più di quanto fatto finora – nel dialogo, nella comunicazione, nella conoscenza di una cultura su cui c’è ancora molta confusione mediatica e di cui si conosce troppo poco. Invece di lasciare questo argomento ai media che strumentalizzano vicende e cavalcano stereotipi, basterebbe dar spazio e far parlare loro, i Rom, sostenendoli nell’essere finalmente i veri protagonisti del cambiamento e del racconto della propria esistenza, e non più bersagli o strumenti di profitto o cittadini senza futuro.
Un maggior impegno e coinvolgimento delle istituzioni e dei media è pertanto opportuno e doveroso, ma superare nel profondo pregiudizi e discriminazioni richiede una prospettiva rinnovata anche a livello individuale e comunitario. E’ la strada che Papa Francesco ci ha indicato durante l’incontro di preghiera con il popolo Rom e Sinti del 9 maggio 2019 in Vaticano: “È vero, ci sono cittadini di seconda classe, è vero. Ma i veri cittadini di seconda classe sono quelli che scartano la gente: questi sono di seconda classe, perché non sanno abbracciare. Sempre con l’aggettivo buttano fuori, scartano, e vivono scartando, vivono con la scopa in mano buttando fuori gli altri, o con il chiacchiericcio o con altre cose. Invece la vera strada è quella della fratellanza: ‘Vieni, poi parliamo, ma vieni, la porta è aperta’. E tutti dobbiamo collaborare.”
Natascia Mazzon è referente generale Ambito Rom della Comunità Papa Giovanni XXIII, Rappresentante presso UNAR – Piattaforma RSC
Per approfondire l’argomento: www.semprenews.it/news/Chi-sono-i-Rom.html
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